Nel panorama politico italiano, l’idea di una “rivoluzione liberale” è stata spesso promossa dalla destra come un percorso verso una società caratterizzata da libertà individuali, un’economia di mercato vigorosa e la limitazione del potere statale. Tuttavia, un’analisi critica rivela che questa ambiziosa visione si è trasformata più in un’illusione che in una realtà concreta. Anche se ci sono state dichiarazioni enfatiche e promettenti, il fallimento nel compiere passi tangibili verso un approccio autenticamente liberale è evidente.
La destra italiana, nonostante le promesse e gli annunci, sembra avere un deficit nel realizzare la “rivoluzione liberale” tanto auspicata. Questo difetto nel cuore del movimento è emerso chiaramente nel corso degli anni, attraverso una serie di eventi e decisioni che contraddicono l’impegno proclamato verso il liberalismo.
È stato suggerito che la destra italiana, a differenza della sua controparte europea, abbia una maggiore affinità con il corporativismo, il decisionismo e l’accentramento del potere. Questo divario tra retorica e realtà è evidenziato dall’analista Panarari, che afferma: “A dispetto degli annunci, non sarà la destra a compiere una ‘rivoluzione liberale’ in Italia (neppure in versione mini)”. Questa osservazione sottolinea come le promesse di cambiamento siano rimaste in gran parte inattuate e come la destra abbia difficoltà a rompere con modelli di governance che favoriscono il potere concentrato e il controllo centralizzato.
Una delle sfide chiave è la difficoltà della destra nell’incorporare il liberalismo e il populismo in un’unica visione coerente. Questi due concetti, spesso conflittuali, sembrano coesistere all’interno della destra italiana, contribuendo alla mancanza di una direzione chiara e coesa. Panarari fa notare che “non si scappa, liberalismo e populismo sono incompatibili: tertium non datur”. Questa dicotomia tra ideali liberali e il richiamo populista può spiegare perché la destra italiana abbia lottato nel creare una visione coerente di rivoluzione liberale.
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Il recente esempio dell’offerta di acquisizione del 20% della società della rete di Tim, anche se formalmente approvato dal Consiglio dei ministri, è citato come un caso di statalismo telefonico piuttosto che un passo verso la sovranità digitale. Questo dimostra come le azioni della destra italiana possano divergere dalla retorica del liberalismo economico, mettendo in discussione la coerenza tra le parole e gli atti.
Un’altra critica sollevata riguarda il favore accordato a specifiche categorie di interesse elettorale, a discapito dei principi di uguaglianza di opportunità e libero mercato. L’attenzione privilegiata alle richieste di gruppi come i tassisti e i balneari può indicare una priorità verso l’ottenimento del consenso elettorale piuttosto che il perseguimento di obiettivi liberamente orientati.
L’aspirazione della destra italiana a compiere una “rivoluzione liberale” sembra essere rimasta in gran parte insoddisfatta. La mancanza di coerenza tra le dichiarazioni e le azioni, insieme alla difficoltà nel conciliare il liberalismo e il populismo, ha ostacolato l’evoluzione verso un approccio autenticamente liberale. Sebbene la retorica possa aver promesso cambiamenti significativi, la realtà riflette una sfida fondamentale che la destra italiana deve affrontare per rendere concreta la sua visione di rivoluzione liberale.