L’Italia si è trasformata nel Paese dei “però”, dei distinguo, della volontà di essere sempre una voce “fuori dal coro” o a seguirla, per essere “diversi”, non soggiogati dal mainstream venduto come manovratore.
La rincorsa ad essere pastori e non parte del “gregge”, additato di essere soggiogato alle voci ufficiali, porta ad inseguire ormai qualsiasi cosa si allontani dalle fonti verificate, da posizioni razionali, dall’evidenza dei fatti. Ancor di più se le voci percepite come autorevoli cantori fuori dal coro fanno premesse a cui seguono sempre i “però”. Che si parli di pandemia o di guerra in Ucraina, poco importa: presunti intellettuali dell’ultima ora ed intellettualoidi da social, oggi strateghi militari, ieri politologi, virologi o CT della nazionale, sono sempre pronti a “distinguersi”, ad apparire e sentirsi superiori, diffondendo fake news, “opinionisti” che insinuano il dubbio, posizioni al limite del paradossale.
Una ricerca costante al differenziarsi da quella presunta massa non pensante, senza rendersi conto della mancanza di razionalità delle evoluzioni del proprio pensiero. Senza rendersi conto che mentre si additano per manovrati gli altri, si viene manipolati. Alcune volte in modo evidente, tramite palesi invenzioni spesso oltre il ridicolo. Altre volte tramite tecniche di propaganda ben consolidate: dalla dietrologia alla tecnica del seminare il dubbio.
L’aggressione di Putin all’Ucraina, che è riuscita ad unire l’Europa da un lato e populisti, sovranisti e nostalgici del comunismo dall’altro, ha dato voce anche a tutta quella schiera di sociologi del web pronti, col ditino alzato, a controbattere ad ogni obiezione col loro “però”.
Si è passati dal “non sono razzista, ma…”, o dal “io non sono contro gli omosessuali, ma…” al più moderno “Io sono contro Putin, ma…” o al “Io sto con l’Ucraina, ma…”, forzando notizie ed esercitandosi in passaggi di benaltrismo compulsivo che toccano, in questi giorni, apici degni di nota.
Secondo alcuni va bene essere contro l’invasione, ma non troppo: in fondo, se anche l’Ucraina decidesse di perdere un pezzo del proprio Paese, non ci sarebbero grossi problemi. In fondo, anche gli Ucraini, “dovrebbero capire…”. Secondo altri, si può essere dalla parte del popolo ucraino, della loro volontà di difendere la propria libertà, ma senza esagerare: l’estradizione di Assange dovrebbe “far riflettere” sulle storture del mondo libero. Con buona pace degli ucraini che si troverebbero sotto una dittatura che, sicuramente, non permetterebbe processi con diritto di difesa, come invece accadrà al giornalista estradato.
Esercizi di dialettica, di filologia spiccia che lasciano il sapore dell’assurdo, dispensati dai fan di chi, ogni giorno in tv, si lamenta di essere censurato. In tv…
D’altronde, per dirla alla Gramellini, la lingua “orsinese” ha ormai invaso la società ed i distinguo, malcelati dai “però”, li conosciamo fin troppo bene. Ed è una lingua che fa presa, trasversalmente, sui tanti, troppi, che devono sempre apparire “oltre”, “meglio”, voci “illuminate” che si distinguono.
Che si distinguano in meglio o in peggio poco importa.