gas russo

Stop al gas russo e le Regioni non si mettano di traverso

Per consentirci di essere meno dipendenti dalle forniture russe, gli USA si sono impegnati recentemente a fornire 15 MLD di Gas naturale liquefatto aggiuntivo all’Europa con l’accordo di ulteriori aumenti fino a 50 MLD entro il 2030. Per poter ricevere il gas naturale aggiuntivo, i Paesi Europei dovranno singolarmente potenziare le strutture (rigassificatori) che consentono di trasformare il gas da liquido a gassoso per poi distribuirlo attraverso i canali esistenti. Ad oggi, l’Italia ha soli tre rigassificatori: l’Adriatic Lng al largo del delta del Po (8 miliardi di metri cubi), Panigaglia in provincia di La Spezia (3 miliardi) e al largo di Livorno (3,75) che non sono sufficienti a gestire le quantità di importazione aggiuntive di gas liquefatto.

Sarà pertanto necessaria, l’installazione di nuovi rigassificatori. A tal fine, l’Italia ha dato mandato a SNAM per negoziare l’acquisizione di una unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione (FRSU) e il leasing per una seconda unità. Il problema è che adesso tutti i Paesi stanno cercando di prenotare queste piattaforme mobile galleggianti e quindi, ci potrebbero essere oggettivi problemi di maggiori costi e tempi di attesa per la fornitura.

Si tratta di una corsa contro il tempo questa che ha lo scopo di renderci meno esposti alle forniture di gas russo, assicurando allo stesso tempo, i combustibili e le infrastrutture necessarie per la loro trasformazione per gli scopi industriali e civili. Un quadro questo che stride con l’operato delle Regioni che non seguono e anzi, frenano l’azione di Governo.

A tal riguardo, la soprintendenza di Agrigento ha dato recentemente parere negativo alla costruzione di un rigassificatore a Porto Empedocle. La Soprintendenza di Agrigento spiega l’inopportunità di un impianto che ricade “sulla direttrice di importanti punti di vista dalla Rupe Atenea e dalla Collina dei Templi” ed “entra in contrasto con quanto previsto dalle norme a tutela del parco archeologico della Valle dei Templi”. A questo si aggiungono valutazioni sul possibile impatto negativo sul turismo.
Anche al Porto di Piombino che è stato indicato come il luogo che dovrebbe ospitare una nave metaniera attraccata ad una delle banchine del porto, i problemi non mancano.

La scelta di avere la nave in banchina e non al largo è stata proposta per accorciare i tempi e i costi di installazione alla rete di distribuzione, evitando così la posa di un lungo cavo sottomarino. Questa soluzione però non convince. I problemi nascono dalle istituzioni locali che per diverse ragioni si oppongono al progetto. Dal Presidente dell’autorità portuale del Mar Tirreno settentrionale e il Sindaco di Piombino, che sollevano, rispettivamente, preoccupazioni per l’economia del porto e del territorio. Mentre per una sigla sindacale (USB), si pone un problema per la sicurezza, il turismo e il modesto impatto sull’occupazione. Sebbene la giunta Regionale Toscana, sia favorevole alla infrastruttura, se ne dibatte ancora a livello di Consiglio Regionale (seduta del 20 aprile 2022) con tanto di interrogazioni da parte del portavoce dell’opposizione circa la compatibilità del rigassificatore con lo sviluppo ecosostenibile della città.

Un dibattito aperto e ampio che fa bene alla democrazia. Quando si costruiscono nuove infrastrutture in un territorio, è giusto che ci sia il coinvolgimento degli stakeholder locali come metodo per la partecipazione di tutti i soggetti interessati. Ma quale è il limite degli interessi, per quanto giusti e peculiari di un territorio rispetto all’interesse generale del Paese? Stiamo vivendo una crisi geopolitica senza precedenti che ci ha visto in sole 5 settimane a dover ripensare le scelte di approvvigionamento delle forniture del gas degli ultimi 20 anni. Stiamo parlando della politica energetica che riguarda tutto il Paese. Dalla Sicilia al Piemonte.

Non solo, l’accelerazione della crisi energetica, ci impone dei tempi di mediazione e reazione immediati per rispondere alle sfide odierne. Non è più possibile attendere anni per capire se si può o meno fare un’opera infrastrutturale. Se questo è il metodo, quanto ci metteremo ad approvare migliaia di impianti per arrivare alla produzione di 114 gigawatt di capacità produttiva da fonti rinnovabili (contro i 56 GW al 2020) da energie rinnovabili in tutte le regioni entro il 2030? Sono obiettivi ambiziosi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) che dobbiamo raggiungere.

Oggi dobbiamo pensare più in ottica di “ragion di stato” guardando ogni aspetto che ci tocca nella sua globalità e nell’interesse generale del Paese. Se sapremo fare tutti questo slancio, raggiungeremo prima l’indipendenza energetica dagli altri paesi e gli obiettivi della transizione ecologica.