Ricercare strade alternative: perché ricorrere solo al debito pubblico o al Mes?

Per anni si sono fatte definizioni agevolate e condoni, spesso inutili e fuori dal coro. Ricordo ancora il condono di Silvio Berlusconi e l’era delle definizioni agevolate (c.d. rottamazioni, per evocare un termine improprio nel mondo del diritto e inventato dal più importante esponente dei “rottamattori”) tutte manovre fatte per scopi preminentemente elettoralistici, addirittura qualcuno ai tempi di Berlusconi parlava di condoni “ad personam” e per chi ha memoria da quel tempo iniziò la deriva della c d. “legislazione ad personam” se non addirittura e grazie alle leggi elettorali, la c.d. “legislazione ad lobby” .

Il post-renzismo dei M5S/Lega , dapprima, e M5S/PD e IDV poi, ha ereditato la prassi di fare una definizione agevolata l’ anno, per fare cassa, sinonimo di uno Stato che annaspa, tanto che si pensava addirittura alla “rottamazione quater” nel 2019, ancor prima che spuntasse lo spettro del coronavirus. Oggi che l’Italia ha bisogno di liquidità e gli italiani stanno per esplodere dalla disperazione, si sospendono le scadenze fiscali sino a dopo l’estate (ma non tutte), atto dovuto, per carità importante ad onor del vero, ma nessuno punta ad un atto di coraggio vero: perché non fare un bel concordato fiscale, che peraltro consentirebbe di trovare le risorse per la ripartenza senza ricorrere solo al debito pubblico?

In una intervista di Alessandra Ricciardi sul quotidiano ItaliaOggi del 15 maggio 2020, a pag. 7, il Prof. Francesco Manfredi, ordinario di Economia aziendale presso LUM Jean Monnet di Bari, ha messo a nudo il problema di un tesoretto degli italiani che non è stato ancora affrontato: che in altri termini rappresenta il problema annoso del contenzioso tributario e del recupero crediti farraginoso dell’Italia, che stenta ad essere efficace e chissà mai se sarà recuperato. Questo tesoretto potrebbe creare liquidità immediata se si facesse un concordato fiscale coraggioso e serio. In Italia esistono 950 miliardi di euro di crediti, congelati dalle cause esistenti e pendenti nel contenzioso Tributario o della riscossione, contro l’Amministrazione finanziaria. A questa cifra ammonta il valore dei crediti in contenzioso. È ovvio che non tutti questi miliardi di euro sono esigibili, molti crediti sono oramai prescritti, deteriorati, molte imprese chiuse, molte società trasformate dopo le chiusure delle liquidazioni, molte altre sottoposte a procedure concorsuali. Si stima, tuttavia, che 500 miliardi potrebbero essere recuperati, poiché esigibili. I giudizi si potrebbero concludere, con molta probabilità, con esito favorevole per lo Stato, ma occorre aspettare i tempi della giustizia, nonostante il processo tributario sia uno dei più veloci, come ritualità, ma tuttavia soffre il gap di una giustizia part time, di giudici che sono impegnati in altri settori della giustizia. È l’unica giustizia priva di giudici professionali ( nel senso tecnico-giuridico del termine).

Un concordato fiscale dilazionato, come teorizzato da illustri studiosi consentirebbe portare un buon rientro di risorse, per almeno 80 miliardi di liquidità immediata e il resto spalmato negli anni, consentirebbe di pagare il debito contratto. Basterebbe fare un concordato fiscale sulle liti pendenti, dilazionando il debito, se non addirittura un condono al 25% su tutti i carichi fiscali. Solo attraverso una seria proiezione dei dati reali o realisticamente tali, su scala percentuale, si può comprendere in che limiti effettuare una manovra del genere, non con timide iniziative, ma un vero e proprio concordato, senza ricorrere a norme farraginose che appesantiscono la burocrazia. Addirittura non sarebbe assurdo pensare al caso limite di un maxicondono fiscale, che abbracci tutto il contenzioso, senza limitazioni e persino gli accertamenti fiscali in itinere.

Ciò potrebbe essere utile se fatto in concomitanza alla riforma della giustizia tributaria, poiché consentirebbe di smaltire i ruoli delle Commissioni tributarie provinciali e regionali, oltre che il macigno di cause pendenti in Cassazione, sino a ripartire con un nuovo sistema di giustizia tributaria di qualità, fatta di giudici professionalmente impegnati e non di giudici part – time, azzerando il passato e ripartendo verso un futuro che metta al centro del rapporto Stato-cittadino un fisco amico, che stia più attento nella valutazione dei parametri di capacità contributiva, magari lavorando sulle aliquote, riducendo il numero di scaglioni e abbassando il sistema sanzionatorio con sanzioni “umanamente accettabili”, verso un sistema più liberale e aperto al mercato globale competitivo.

Oggi la competizione globale si gioca anche sul fisco. Uno Stato con forte pressione fiscale non attrarra’ mai imprese. Un fisco più aperto alla nuova realtà del mondo globale e meno pesante ed oppressivo per cittadini e imprese può far ripartire il mercato, non solo perché non incide in maniera pesante sui profitti delle imprese ( oggi superiore al 50% tra tasse locali e imposte), ma perché dà più capacità di spesa a salari e stipendi con buste paga più consistenti per le minori trattenute fiscali che contribuiranno a far crescere la domanda interna. Non solo, ma un fisco più leggero attrae investitori esteri che aumenteranno l’occupazione produttiva del paese. Per fare tutto questo bisogna avere consapevolezza e capacità di recuperare il pregresso, di puntare sul tesoretto del contenzioso, prima che anche quel poco di tesoretto rimasto si deteriori verso la via dell’inesigibilità che tanto male fa all’economia. Puntare solo sul debito pubblico o sul MES, di contro, significa dover far pagare più tasse in futuro per pagare il debito contratto che si somma al sovraindebitamento già esistente.

Vi rendete conto che in tempi non sospetti si sono fatti condoni e definizioni agevolate (una ogni anno) e adesso che i tempi sono maturi, si potrebbe mettere mano a questo tesoretto degli italiani, mentre si pensa solo al MES o ad altre strategie suicide di indebitamento tipo i BOT PATRIOTTICI. MA IL PATRIOTTISMO IN POLITICA ESISTE ANCORA? I nostri patrioti sapranno che i BOT decennali hanno un tasso di interesse molto più alto (1,7% netto) del tasso del MES (0,1% netto) da restituire in 10 anni. E in ogni caso, sapranno pure che uno stato che voglia acquistare credibilità per non essere declassato dalla stessa Europa dovrà dapprima saper dimostrare capacità gestionale nel recupero delle proprie entrate di bilancio. In un sistema legato ai vincoli di bilancio, non si può pensare che l’unica via d’uscita sia solo l’indebitamento, altrimenti si inizierà a costruire un baratro senza vie di salvezza. Si deve pensare anche a saper gestire la fase del recupero di liquidità, in questo momento necessaria per far ripartire un paese distrutto nel suo tessuto economico costituito da piccole e medie imprese intrappolate in questo nodo gordiano che rappresentano la linfa vitale, il cuore pulsante dell’Italia. Recuperare il tesoretto, anche attraverso sistemi incentivanti di natura condonistica e concordati fiscali, agendo sulla leva della montagna di crediti non riscossi, attraverso un concordato sulle liti tributarie pendenti, oggi rappresenta un contributo più che mai importante per dare una risposta alla richiesta di crediti a fondo perduto per la ricostruzione e la ripartenza delle imprese nel rispetto dei vincoli di bilancio. Come farà un piccolo imprenditore che non ha le risorse economiche per riuscire ad adeguare i propri locali in sicurezza, specie dopo 2 mesi di inattività?

Si tratta solo di applicare per davvero il principio che sta alla base dell’equità sociale di un paese, utilizzando strumenti che, sicuramente non incentivano la propensione al pagamento delle imposte, ma che nell’immediato procurano risorse utili e indispensabili a garantire la sopravvivenza e ad aprire la strada verso una futura equità fiscale, che il sovraindebitamento esistente e il ricorso al debito pubblico non saranno in grado di garantire, poiché potranno solo peggiorare la stabilità futura del tessuto economico iniquo, che incentiva il lavoro nero e l’evasione. Il sistema produttivo è crollato e con esso il substrato di coesione sociale e di partecipazione dei lavoratori autonomi, per lo più piccoli imprenditori, al processo organizzativo politico, economico e sociale del paese. Ma è crollato con esso anche un muro, che ha messo a nudo l’impatto della pandemia sulle categorie più deboli delle nostre comunità, che se non si corre contro il tempo, vedrà galoppare il ceto dei nuovi poveri dell’economia politica post-ideologica e post- pandemica verso il malessere sociale, il disagio che storicamente ha messo a dura prova la tenuta delle democrazie.

E non si tratterà più del povero disoccupato licenziato dall’impresa a 50 anni, ma anche delle migliaia di piccoli imprenditori (ristoratori, baristi, albergatori ecc.) costretti a chiudere per flessione della domanda. La scommessa sul nostro futuro dipenderà anche e dalle scelte di metodo e dall’ approccio verso un cambio di passo del saper gestire i vincoli di bilancio e non nel limitarsi alla visione di un presente secondo la logica del “lassaiz- faire” incontrollato, senza la visione futuristica, che ha sempre caratterizzato la politica economica e fiscale Italiana nell’ottica del “tanto qualcuno in futuro, prima o poi pagherà”, quel qualcuno sono i nostri figli.