Quello che chiede oggi Mario Draghi all’Unione Europea è di aiutare i suoi cittadini a far fronte alle conseguenze economiche della guerra voluta da Vladimir Putin con la stessa determinazione con cui ha difeso l’Ucraina dalla dolorosa invasione che va avanti dallo scorso 24 febbraio. Per ora il presidente del consiglio italiano, noto per la sua “sovrumana” calma – chi lo conosce dice che sia in grado di restare tranquillo, o perlomeno di dare quest’impressione, in situazioni in cui altri perderebbero la testa – sta cercando di rinsaldare l’asse Roma-Parigi (la cena all’Eliseo si è consumata per questo), tentando di portare dalla sua parte Emmanuel Macron, che continua ad essere sempre più convinto che lo zar russo non vada umiliato. Non solo, l’economista starebbe anche provando a vincere le resistenze della Germania (con cui sin dai tempi della Bce ha avuto un rapporto alquanto complesso) e le perplessità dei falchi del Nord. Li conosce bene ed è una fortuna per noi.
La svolta di Christine Lagarde e lo stop per gli acquisti di titoli di Stato nell’ambito del Quantitative easing dal 1° luglio non è stata una sorpresa per Mario Draghi, tant’è che il governo già da tempo era al lavoro per contenere i contraccolpi del conflitto tra Mosca e Kiev. Chi ha seguito il discorso suo alla riunione del consiglio ministeriale dell’Ocse, tenuto qualche ora prima che la numero uno della Bce facesse il suo annuncio, avrà colto senza dubbio un accenno all’inasprimento delle politiche monetarie delle banche centrali. «Il Consiglio europeo la scorsa settimana ha approvato la possibilità di imporre, di prendere in considerazione, un tetto massimo alle importazioni di gas russo. Questa misura limiterebbe l’aumento del tasso di inflazione, sosterrebbe il reddito disponibile e ridurrebbe i nostri flussi finanziari verso Mosca. Naturalmente, le discussioni sono ancora in corso e la strada da percorrere potrebbe essere lunga», ha detto il premier italiano.
Parlando poi del caro prezzi, Draghi ha sottolineato l’ipotesi di far ricorso nuovamente a strumenti come il fondo Sure. Un «supporto temporaneo» che ha fornito durante la pandemia agli Stati membri «prestiti economici e stabili in modo che potessero salvare posti di lavoro e sostenere i redditi». Tali aiuti stavolta sarebbero indirizzati al settore dell’energia. Non è propriamente il Recovery 2 proposto da Macron, che Draghi pure condivide. Lo Sure punterebbe a prestiti e non ai sussidi: un ‘particolare’ questo che potrebbe dissuadere i temuti “falchi”.
Draghi ne è certo: una replica del fondo Sure potrebbe inoltre «garantire ai paesi vulnerabili più spazio per aiutare i propri cittadini in un momento di crisi, rafforzerebbe il sostegno popolare al nostro sforzo sanzionatorio congiunto e contribuirebbe a preservare la stabilità finanziaria in tutta l’area dell’euro». Dal canto suo il governo italiano continuerà a muoversi per evitare che i cittadini siano schiacciati da una situazione economica in netto peggioramento. Non a caso, entro fine mese, è ormai certo che l’esecutivo rinnoverà l’eliminazione degli oneri di sistema sulle bollette e il taglio delle accise sulla benzina. Il ministro dell’economia Daniele Franco, tra i più fidati collaboratori di Draghi, proverà ancora a trovare risorse, senza ricorrere a nuovo debito. Fino a quando ciò sarà possibile è difficile dirlo: il premier stesso sa che ci attendono mesi difficili, per questo spinge perché l’Ue faccia la sua parte e si mostri solidale con gli Stati membri.