bambini ucraini

Ucraina, le storie di bambini e bambine violentati, torturati e uccisi

In Europa, a pochi passi da casa nostra, ogni legge è stata sovvertita; tabù violati, disordini, barbarie e orrori che mostrano con spietata durezza quanto gli uomini sanno far male, essere cattivi, lasciarsi andare agli istinti più bassi. Non come lupi voraci, affamati. Più delle bestie. Non si può tollerare che, a poco più di duemila chilometri da noi, gruppi di bambini siano stati ritrovati nelle cantine con le mani legate dietro la schiena e un colpo di pistola sparato in testa.

Il cuore non ce la fa a sopportare che una bimba di soli nove anni sia stata violentata da almeno undici soldati russi, che prima di ucciderla avrebbero inciso sul suo corpo martoriato la lettera “Z”, simbolo ‘dell’operazione militare speciale’ di Vladimir Putin. La piccola sarebbe stata aggredita e stuprata dall’esercito invasore dopo aver assistito all’esecuzione dei suoi genitori, secondo quanto raccontato da un’inviata a Bucha. Stiamo parlando di bambini e bambine, vittime innocenti.

A Mariupol si denuncia oggi la presenza di forni crematori mobili. Cos’altro ancora saremo costretti a sentire? Torture, abusi, sevizie sui cadaveri, su chi non può difendersi più. E ancora un altro aspetto non meno agghiacciante: il rischio di traffico illegale di minori. Poi ci sono le testimonianze sconcertanti che spostano l’orologio indietro nel tempo. Nell’ospedale militare di Zaporizhzhia i russi ricoverati hanno fatto capire di non provare alcun rimorso. “Perché colpire a morte donne che scappavano con i loro figli?”, ha chiesto un medico. “Qual è il problema? Anche i bambini sono nazisti. Siamo venuti qui perché siete il male e vi dobbiamo eliminare tutti”, la risposta secca di un soldato. Le madri di Bucha hanno provato a salvare i loro bambini, le loro bambine. “Si sono offerte ai soldati russi, ai ceceni, al posto delle ragazzine”. Ma “purtroppo non è servito, purtroppo sono state stuprate le madri e i loro bambini, le loro bambine”, come ha denunciato Taras Lazer, professore di lingua e letteratura italiana presso la facoltà di filologia della Borys Grinchenko Kyiv University.

Sotto gli occhi, l’abbiamo vista tutti, la foto della piccola Vika, con il suo nome, la data di nascita e i numeri di telefono del padre e della madre scritti sulla schiena con un pennarello indelebile: così se si smarrisce, se perde i genitori, in un bombardamento o mentre è in una fuga attraverso i corridoi umanitari, si potrà risalire alla sua identità, e consegnarla ai parenti sopravvissuti. Ci rendiamo conto? Ma cosa siamo diventati? Fa paura vivere in un mondo simile. Ci si indigna se Mario Draghi dice “preferiamo la pace o il condizionatore acceso” – stamattina sui social non si leggeva d’altro – ma si resta indifferenti di fronte alle sevizie che bambini e bambine hanno dovuto subire negli scantinati di Irpin, Mariupol, Bucha.

Le conversazioni dei bimbi ucraini nei rifugi anti bomba, registrate dal regista Oleg Kavun, riferite stamani da «La Stampa» lasciano sgomenti, rubano il sonno. «Mamma, ascolti sempre i comunicati della presidenza? Devi farlo, metti che dicano che possiamo tornare a casa e tu non li senti». «Mamma, se bombardano casa nostra, riusciamo poi a tirare fuori il mio Lego dalle macerie?». «Mamma, se la guerra dura a lungo, papà si dimenticherà di noi?». «Mamma, dicevi che i sogni dei bambini si avverano sempre, ma i miei non si avverano più, significa che sono già diventato grande?». «Mamma, anche i bambini russi guardano la guerra in TV? Non gli facciamo pena?». Domande strazianti che debbono farci vergognare di noi stessi.

Ogni interrogativo non può lasciarci indifferenti. Perché come scriveva Pier Paolo Pasolini “peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare”. Non dobbiamo abituarci alle immagini agghiaccianti che arrivano da Kiev e dintorni. Perché quello che sta accadendo in Ucraina non è normale. Il resto, le chiacchiere da bar, son tutte stupidaggini: questa guerra, come tutte le guerre, è una tragedia. Un’immensa tragedia, che ci riguarda tutti. E accanto a chi nega, chiede la resa incondizionata dell’Ucraina, inventa scuse per Putin, abbiamo il dovere di sentirci fuori posto.