A più riprese negli ultimi periodi, Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno esortato il FMI a concedere un prestito di 1,9 miliardi di dollari alla Tunisia, vitale per prevenire la bancarotta. Ma siamo davvero sicuri che l’ostacolo principale provenga da Washington? In realtà, le cose non stanno esattamente così. Il presidente tunisino, Kais Saied, è colui che impedisce il prestito da mesi. Questo finanziamento è fondamentale non solo per la Tunisia, ma anche per attivare la maggior parte dei fondi europei che sono stati stanziati oggi con la firma del Memorandum d’intesa, oltre ad altri fondi internazionali previsti. Saied rifiuta il piano di riforme che la sua nazione deve attuare per ottenere il prestito, un piano precedentemente elaborato dal suo stesso governo a Tunisi. Nonostante l’insistenza dei leader italiani, nulla si è mosso dalla scorsa primavera.
Saied non dà segni di cedimento. Si sta giocando la carta delle riserve in valuta estera, provenienti dalla stagione turistica (quest’estate migliore del previsto) e dai contributi della diaspora tunisina all’estero. Senza dimenticare la recente diminuzione dei prezzi energetici internazionali, queste risorse permettono alla Tunisia di resistere alla bancarotta più a lungo di quanto previsto: potrebbe non essere più una questione di mesi, ma piuttosto un’eventualità concreta nel 2024.
Insomma, il Paese può ancora “tirare avanti” per un po’ e giocare d’astuzia, senza preoccuparsi di iniziare a risolvere i suoi problemi strutturali con interventi ad alto rischio sociale. Tuttavia, rischia di vedere un peggioramento nella carenza di prodotti di base già scarsi nei negozi, come zucchero, farina e olio vegetale. Recentemente, sono state notate lunghe code davanti a alcuni panifici: la mancanza di pane, scintilla di molte rivolte, è storicamente pericolosa in Tunisia. Saied si sta prendendo un grosso rischio.
Turchia e Occidente più vicini che mai: Putin in difficoltà
Per un prestito del Fondo Monetario Internazionale, in media la negoziazione avviene in tre mesi. L’organizzazione sta discutendo con la Tunisia da due anni e tre mesi. Da notare che in due occasioni (nel 2013 e nel 2016) il Paese aveva già richiesto e ricevuto un prestito, sulla base di un programma di riforme che, però, è svanito in entrambi i casi. A causa di questi precedenti, come sottolinea l’economista Ezzedine Saidane, “la Tunisia ha un serio problema di credibilità“.
Il Governo del Primo Ministro Najla Bouden era riuscito a mettere insieme un piano di riforme, su cui Tunisi e il Fondo avevano raggiunto un accordo preliminare nell’ottobre 2022. L’approvazione definitiva era prevista entro la fine dello stesso anno. Tuttavia, non è mai arrivata, a causa dell’intervento di Saied nel processo. “Il presidente rifiuta la riforma dei prezzi sussidiati”, afferma Habib Zitouna, economista all’Università di Tunisi, “e la ristrutturazione delle aziende pubbliche, perché, secondo lui, i rischi sociali di queste riforme sono troppo alti“.
La partita tra Saied e il Fondo Monetario Internazionale si sta trasformando in un pericoloso gioco di poker.