Storia di Ilya, orfano e ferito, che ha riabbracciato la nonna grazie ad Abramovich

Ilya ha 10 anni e viveva nella Mariupol rasa al suolo dai russi. La sua mamma è rimasta uccisa durante un attacco aereo russo e lui, rimasto ferito, era stato portato in un ospedale di Donetsk. La sua storia l’aveva raccontata ad una tv locale, con gli occhi bassi e un filo di voce. 

Elena Matvienko, 63 anni, stava guardando proprio quel programma in tv quando ha pensato di stare vedendo un fantasma. La donna, infatti, è la nonna del bambino, che credeva morto insieme alla sua famiglia nell’inferno di Mariupol. Elena non nutriva più la speranza di ritrovarlo vivo, e si è immediatamente arrivata per riportare Ilya a casa. 

A darle una mano è stato l’oligarca russo Roman Abramovich, impegnato nei negoziati per la pace e operativo per ricongiungere nonna e nipote. Funzionari russi e ucraini, infatti, su interessamento del patron del Chelsea hanno organizzato il viaggio di Ilya fino al Central Children’s hospital di Kiev, dove l’altra sera ha potuto riabbracciare nonna Elena. Non solo: all’emozionante ricongiungimento tra la donna e il nipote, condito da lacrime e abbracci, ha partecipato anche il presidente ucraino Volodymir Zelensky. Tra le braccia della nonna, il piccolo ha raccontato che circa un mese fa stava camminando per Mariupol con la madre quando entrambi sono stati colpiti da un razzo russo: la donna, gravemente ferita come il figlio, ha portato in salvo il suo bambino nella casa di un vicino prima di morire. Come sia finito a Donetsk resta un mistero. “La sua intera anca sinistra è stata strappata via – racconta Elena -, ha subito due operazioni”. Il piccolo però se la caverà, le ferite del corpo guariranno. Quelle dell’anima forse mai. 

Come riporta Repubblica, nello stesso ospedale hanno potuto riabbracciarsi anche la piccola Kira Obedinskaya, 12 anni, ferita da una mina a Donetsk, e suo nonno. Anche lei ha visto suo padre morire sotto i suoi occhi ed è rimasta ferita a un orecchio, alle braccia e alle gambe. Storie di dolore, ma anche di speranza in mezzo a tanta disperazione.