università

Stop alle università parcheggio per eterni Peter Pan: serve una svolta meritocratica

C’era un tempo in cui gli studi universitari erano riservati soltanto alle faimiglie facoltose e ai figli delle elites. Questo generava una sostanziale disparità di trattamento con gli altri e ingessava il sistema sociale impedendo – questo si diceva – ai figli meritevoli di famiglie povere di fruire delle medesime opportunità degli altri. In sostanza una laurea per censo e non per capacità. Da tale presupposto e dalla necessità di invertire il trend, sono partite politiche di allargamento del bacino di utenza dell’istruzione universitaria cercando di garantire a tutti l’accesso agli studi post diploma. A partire dal Robbins Report in Gran Bretagna del 1964 per poi adottare analoghe vie negli altri Paesi. Che cosa si aspettavano queste politiche egualitarie? Semplicemente che oltre alla pari opportunità venisse, medio tempore, incrementata anche la qualità dei laureati, le loro capacità e le loro competenze oltre che i loro portafogli.

Oggi possiamo dire che questi obiettivi sono stati clamorosamente mancati. Un recentissimo studio condotto da Ichino, Rustichini e Zanella, dimostra come il livello di intelligenza dei laureati negli anni 90 fosse minore rispetto a quello dei loro colleghi degli anni 70. Non solo, lo studio prende in esame anche la forbice salariale tra laureati e non, rilevando un effetto paradossale sulle retribuzioni: mentre sono proporzionalmente aumentate quelle dei non laureati, quelle dei laureati sono rimaste sostanzialmente stabili. La facile deduzione potrebbe essere che nel tempo siamo diventati meno intelligenti e più poveri. Numeri alla mano sembra quasi preferibile il “vecchio sistema elitario”. Ovviamente non è così, né lo studio di tre professori intende offrire questa chiave di lettura estremamente semplicistica. Ma che il fallimento delle politiche di istruzione popolare sia un dato di fatto è innegabile e occorrerà porsi il problema di come riportare la meritocraia nei nostri atenei. Quantomneo per evitare il propagarsi degli errori. Purtroppo tali politiche non hanno prodotto né quello sblocco né sociale né meritocratico che ci si aspettava, né un aumento delle capacità e competenze dei laureati . Anzi, invero chi ha approfittato del teorico aumento delle opportunità sono stati i figli meno talentuosi delle famiglie ricche che sono andate a ingrossare le fila dei lauerandi senza particolari meriti.

In sostanza il presupposto egualitaristico su cui si è basato per decenni il cosiddetto diritto allo studio ha fallito e ha mancato il colpo! Quale dunque la soluzione per evitare scivolosi ritorni a un passato da feudealesimo universitario ma al tempo stesso garantire un miglioramento delle competenze? Secondo lo Studio, l’unica via è quella di una svolta meritocratica che sia fondata non sui voti di maturità, ma su una selezione “spietata” e necessaria, basata su un monitoraggio costante di intelligenza, merito e impegno (indipendentemente dal background economico).
Un percorso dunque di valutazione continua – con regole che consentono al corpo docenti anche di bocciare l’allievo quando ritenuto non in grado di proseguire. Peraltro, non sarebbe male nemmeno estendere questa banale misura anche alle scuole superiori (la Meloni tempo fa parlava di modello inglese che si fonda proprio su fallito Robbin Report tanto per dire). Il risultato forse potrebbe essere l’abbandono di quella sorta di lassismo indiscriminato che pur di non svantaggiare nessuno trasforma le università in un gigantesco parcheggio per eterni Peter Pan o in un diplomificio apparentemente egualitario ma in realtà estremamente dannoso per il Paese e le sue intelligenze.