Riflessione post-elettorale breve e secca: all’orizzonte potrebbero profilarsi tempi illiberali. A preannunciarli i risultati della tornata amministrativa di domenica e lunedì che, mentre hanno sonoramente punito due dei tre leader/partiti populisti che animano la politica italiana – Lega e M5s – hanno visto la conferma di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, un partito ormai ampiamente in grado di andare oltre il centro-sud, ovvero il bacino tradizionalmente proprio del Movimento Sociale, poi Alleanza Nazionale, partiti che esplicitamente Giorgia Meloni ha posto all’origine della formazione da lei co-fondata nel 2013.
Partito nazionalista, ma anche partito nazionale, FdI ha sottratto voti alla Lega con un leader in stato confusionale e a Forza Italia sempre più debole. Il dato di fatto inconfutabile è, ahinoi, che rimane quel mix di destra estrema e radicale poco compatibile col sistema di valori dell’Occidente liberale.
“Questo era già intuibile dalla crescente forza di FdI misurata dai sondaggi negli ultimi anni, che lo ha portato ad accreditarsi come il primo partito (e Meloni tra i leader più popolari), ma era anche piuttosto chiaramente emerso dalle elezioni amministrative dell’ottobre 2021, quando il consenso del partito di Giorgia Meloni era risultato distribuito in modo piuttosto uniforme tra Sud, Centro e Nord. Il 12 e il 13 giugno non solo l’importante presenza al Nord è stata confermata, ma Fratelli d’Italia in molti casi si è rivelata capace di superare la Lega di Salvini. La qual cosa ci parla di una crisi di quest’ultima ormai strutturale e difficilmente arrestabile, se non attraverso cambiamenti importanti, a partire dalla leadership, che però al momento non sono ancora contemplati”, scrive oggi Sofia Ventura sul’Huffpost.
È Meloni che si candida oggi a governare il Paese. Anche se, naturalmente, potrà farlo solo con l’accettazione da parte della Lega della rinuncia a essere il partito pivot della coalizione di centrodestra. E di Salvini di fare il ‘secondo’. Non essendo in grado di liberarsi di quest’ultimo, d’altro canto, la Lega meno incline al gioco della politica di lotta e di governo, più radicata sul territorio, rappresentata da Giorgetti a livello nazionale e da eletti di peso a livello regionale e locale, si presenta agli elettori meno credibile come forza di governo.
Ma non dimentichiamo – sottolinea Ventura – che “Meloni rimane una leader che ai comizi, si veda l’ultimo a Valencia, inveisce contro i nemici del popolo con uno stile a dir poco sopra le righe, costruisce continue contrapposizioni tra gli italiani e gli immigrati, spesso presentati nella sua propaganda come untori o criminali. Difende i governi europei che fanno strame dello Stato di diritto (Ungheria e Polonia) nei loro conflitti con l’Unione, vorrebbe rovesciare i principi stessi su cui l’Unione si regge, ad esempio la superiorità delle norme europee su quelle nazionali, e rivedere i trattati per esaltare le sovranità nazionali a scapito della costruzione europea. Si lascia trascinare da letture complottiste della realtà”.
Insomma, “Meloni e il suo partito – dice ancora Ventura – rimangono quel mix di destra estrema e radicale poco compatibile con il sistema di valori dell’Occidente liberale, ma che si stanno radicando sempre più tra gli elettori italiani. Già accettata dal sistema dei media come una interlocutrice ‘normale’, e soprattutto capace di attirare ascolti e lettori, Meloni è vista come una interlocutrice anche da leader lontanissimi da lei, che così la legittimano”.
“In sintesi – scrive ancora Ventura – nel nostro paese si sta realizzando in modo estremo quel fenomeno colto da Cas Mudde in numerosi Paesi europei di normalizzazione (Mudde parla di mainstreamization) della destra radicale”.