Damilano

La lezione di Damilano, Giorgetti metta in soffitta Salvini

Chissà se l’indubbia ed ennesima batosta che l’esito del referendum ha inflitto a Matteo Salvini avrà esiti anche all’interno della Lega, e se sì, quando. In particolare, molti osservatori si chiedono se ciò avverrà prima o dopo le elezioni del 2023 (che potrebbero certificare il feral colpo per il Carroccio). Paolo Damilano – intervistato oggi da “Il Foglio” – è categorico nel ritenere che si sia chiuso un ciclo per la Lega anche se ammetterlo non sarà facile. Il ciclo che ha portato il partito che fu di Bossi dal 3% al 34% (delle ultime Europee) si è chiuso, non per morte improvvisa, ma a seguito di una lenta agonia che ha origine nel famoso Papeete 2019 e che si trascina fino ad oggi. Da lì in poi, il Kapitano non ne ha politicamente azzeccata una, in un progressivo discendere verso gli inferi dell’irrilevanza pur essendo al Governo. Questo – sostiene Damilano – dovrebbe aprire una riflessione profonda nella classe dirigente leghista, soprattutto da parte dell’ala governista rappresentata da Giorgetti, Fedriga e forse Zaia. Insomma, per i moderati della Lega urge un cambiamento radicale. O di leadership, o di partito.

D’altra parte che esista una crisi d’offerta politica lo diciamo da tempo e che questa crisi la sconti in modo preoccupante chi, nella destra italiana, crede in una politica liberale, europeista e antipopulista, è altrettanto un dato di fatto incontestabile. O il centro-destra ripensa se stesso – cosa che pare non aver alcune intenzione di fare – oppure urge lavorare alla costruzione di un soggetto nuovo e diverso che federi intelligenze e sensibilità liberali e moderate e che preferisca il pragmatismo della politica rispetto agli slogan della propaganda. Chi si candiderà a fare da federatore di futuribile questo soggetto? Damilano non pensa a un solo leader ma a una squadra di personalità importanti che già ci sono: da Renzi a Calenda, da Toti a Fedriga o Giorgetti. Il paragone con la Democrazia Cristiana ha un po’ il sapore amaro della retropia, ma è vero pure che in quel partito tante erano le anime che riuscivano poi a elaborare delle sintesi. Altri uomini, altri tempi, altra politica. Oggi ci accontenteremo di molto meno.

Quelli che aspettano l’Italia saranno anni complicatissimi che richiederanno una classe politica all’altezza che – sempre secondo Damilano – potrebbe addirittura esulare dai partiti classici.
Tema scottante che il leader di Torino Bellissima declina sulla base anche del risultato delle amministrative dove secondo una rilevazione di Youtrend, nei Comuni con più di 15 mila abitanti, il 44% delle preferenze dei votanti si sarebbe indirizzata verso liste civiche e non identitarie di partito. C’è dunque voglia di concretezza e non di ideologia, deduce Damilano che si intesta di aver anticipato la tendenza con Torino Bellissima e di essere uscito dal centrodestra proprio per le derive estremistiche e populiste degli alleati. Tutto da vedere e tutto da confermare da chi meglio di chi scrive conosce quella realtà locale. Il punto politico nodale tuttavia è un altro: il fallimento del sistema bipolare a carattere muscolare con coalizioni eterogenee e in perenne conflitto tra loro che non guardano al futuro del Paese ma all’autoconservazione. Se questo è il passato destinato a morire (a maggior ragione se la legge elettorale virerà in senso ancor più proporzionale, come auspica anche Luciano Violante), il futuro stenta a sorgere.

Tutti i partiti, invero, sono chiamati a rispondere a questa sfida di cambiamento che non è solo di riposizionamento, ma investe la natura stessa della forma-partito e del far politica tout court. Sapranno i partiti uscire da una concezione leaderistica e autoreferenziale per accedere a una dimensione maggiormente incentrata sui contenuti? Vedremo, nel frattempo si raccolgono i cocci per gli sconfitti e la prima vittima è appunto la Lega il cui leader peraltro non è più nemmeno un Leader. Il Carroccio è chiamato – e non da ora – a chiedersi cosa vuol fare da grande, e dovrà dar risposte certe in tempi rapidi. Fallita la linea simil-lepenista, spingere ancora sull’estremismo ideologico e identitario ormai è fallimentare e non se ne può più uscire semplicemente “dando addosso all’immigrato”. La gente si è stancata e chiede altro. Per Paolo Damilano questo è il momento giusto, “se non ora, quando?”. Chissà! Avrà ragione oppure sarà l’ennesima volta in cui tutti parlano e nessuno fa nulla?