Come la mitologica Medusa, la gorgone coi serpenti al posto dei capelli che tramutava in pietra tutto ciò che incontrava il suo sguardo, Matteo Salvini, che in realtà di mitologico ha poco o niente, rovina tutto ciò che capita sulla sua strada. Con un autolesionismo che difficilmente ha eguali.
Il referendum sulla giustizia e il modo in cui è naufragato per l’incapacità del Kapitano, novello garantista e tra i promotori, di spiegare, di mobilitarsi e di fare reale campagna elettorale, la dicono lunga sullo stato in cui è messo il leader (per quanto ancora?) del Carroccio.
Le amministrative, poi, che per Giorgia Meloni, presidente del primo partito italiano, sono una conferma del ritorno al bipolarismo puro, hanno sì detto che dove il fu centrodestra va unito ancora vince. Ma anche che non è più uno schieramento a trazione salviniana. Neanche in quel Nord che della Lega è sempre stato feudo, perché Salvini non intercetta più il consenso dell’elettorato “padano” e ormai, dal covid in poi, è anche in guerra aperta con i “suoi” governatori. E questo rischia anche di costargli la leadership e la guida de partito.
Da tre anni a queste parte, da quando dal Papeete ha fatto cadere il primo governo Conte, salvo poi pentirsene, il Kapitano ha completamente perso la bussola. E ne ha sbagliata una dopo l’altra, fino all’apoteosi del viaggio filo Putin a Mosca. È ormai chiaro che il problema principale del centrodestra è lui. Non la Lega, ma proprio lui. Lui è il suo populismo finto pacifista di convenienza.
Come Medusa, però, Salvini rischia l’isolamento, perché al di là delle dichiarazioni di facciata, nella Lega la misura ormai è colma.