Salvini avverte Sgarbi e Sangiuliano: “Ognuno pensi ai fatti propri”

Come se la convivenza tra Gennaro Sangiuliano e Vittorio Sgarbi non fosse già abbastanza difficile, ci mancava pure Matteo Salvini – che niente ci azzecca con la Cultura – a mettere il becco. La faccenda è piuttosto ingarbugliata e, al momento, l’unica cosa su cui il ministro e il sottosegretario sono d’accordo pare essere la data del loro primo incontro.

«Lo conosco da trent’anni, io a Sgarbi voglio bene», ha detto Sangiuliano. «Confermo – ha fatto eco Sgarbi – io all’epoca ero sindaco di Sanseverino e lui enne a presentare un suo libro, le nostre fidanzate dell’epoca erano amiche». Entrambi giurano che mai litigheranno, anche se sono bastate poche ore di convivenza al ministero del Collegio romano – osserva Repubblica – per registrare la prima distonia pubblica, sulla gratuità dei musei. Sangiuliano è per contenerla ai casi già previsti, Sgarbi è per estenderla.

«Ci sono già le domeniche gratis che non intendo toccare – dice il ministro a Repubblica – e altri casi di scontistica e agevolazioni. Gran Bretagna a parte, dove vige un sistema misto di finanziamenti, in tutta Europa l’ingresso ai musei si paga, eccome. E poi vogliamo dirla tutta? Il turista americano, che arriva in costiera con lo yacht e va in Mercedes a Pompei, perché non dovrebbe pagare il biglietto?».

Sgarbi sostiene che la divergenza con l’ex direttore del Tg2 è già in via di ricomposizione: «L’ho quasi convinto ad adottare questo schema: il turista paga sempre, il residente entra gratis, altrimenti il modenese non metterà mai piede alla Galleria Estense e il ferrarese non andrà in Pinacoteca». Nonostante le rassicurazioni, è chiaro che Sangiuliano rischia di dover faticare parecchio a contenere le esternazioni del sottosegretario, in un governo dove Sgarbi non pare l’unico vice a sentirsi in diritto di dichiarare senza aver prima consultato il titolare. «Ma no – assicura il ministro – Sgarbi è Sgarbi, è un esuberante, una certa genialità si coniuga spesso con l’irrazionalità del carattere. Io invece sono un metodico, uno che studia
prima di prendere ogni decisione». Ma non c’è il rischio che Sgarbi faccia il ministro di fatto? «Per nulla, i ruoli sono chiari e il rapporto ottimo, ci siamo già visti una volta a pranzo e una a cena». Il critico d’arte racconta di aver invitato Sangiuliano a casa sua («Ho praticamente in casa la cupola del Borromini di Sant’Ivo alla Sapienza, il set perfetto per un incontro con il ministro della Cultura») e ha già una sua teoria del rapporto: «Sanguliano è un conservatore politico, che è un valore di parte, io sono un conservatore del patrimonio, che è un dovere universale. La nostra è una perfetta entelechia, lui ci mette la visione e i valori della sua area politica e io mi occupo dei beni comuni. In pratica, faccio l’estrema sinistra del governo».
Sgarbi spiega che a Meloni aveva proposto lo spacchettamento del ministero: «A me interessa solo la parte di tutela dei beni culturali, che una volta era anche il nome del ministero, prima che la hubris di Franceschini lo spingesse ad adottare la dizione alla francese, ministero della Cultura. Capisco e approvo la scelta di Meloni di mettere Sangiuliano. Io, fosse per me, mi occuperei solo di palazzi, chiese e musei, invece nel ministero c’è dentro di tutto, il teatro, il balletto, il cinema». E che male c’è? «Tutti quelli che non sanno niente di cultura parlano di cinema», è il commento di Sgarbi.
L’ex direttore del Tg2 si dice sicuro che la collaborazione proseguirà senza intoppi.
«Sgarbi ha applaudito le mie prime uscite ufficiali, alla Sinagoga per riprendere il filo del Museo della Shoà, e alla casa di Benedetto Croce». Si vedrà.

Meno sportivo di Sangiuliano è stato invece Matteo Salvini. Dopo che Sgarbi, appena incassati i gradi di governo, ha dichiarato anche sull’inutilità del ponte sullo Stretto, al ministro delle Infrastrutture, che crede alla realizzazione dell’opera come Berlusconi un quarto di secolo fa, sono saltati i nervi. «Salvini mi ha mandato subito un messaggio – racconta Sgarbi, cercando il testo sul cellulare – per dirmi: “Se devo cominciare a dichiarare sulla cultura, basta saperlo e lo faccio». Speriamo di no.