Referendum: votare sì ci permetterà di avere una riforma liberale della giustizia

di Kishore Bombaci*

Da ormai svariati decenni il pianeta giustizia in Italia è stato oggetto di riforme, le quali tuttavia, mai hanno garantito i risultati promessi. Al contrario, nel corso del tempo la giustizia è divenuta sempre più argomento di propaganda politica, complice una storia giudiziaria del paese non proprio cristallina. Dall’emergenza criminalità a Tangentopoli, la politica ha appaltato il rinnovamento del paese alla magistratura, la quale nel tempo si è presa sempre più lo spazio vuoto che separava le istituzioni dalla società civile. Questo ha, di fatto, impedito che si arrivasse a una riforma del processo, in particolar modo penale, che riequilibrasse il sistema, ponendo argine a un vero e proprio strapotere che mal si concilia con la natura liberale del nostro stato di diritto.

Di fronte al fallimento della politica, sia del centro sinistra sempre più addentellato con la versione giustizialista dell’ordinamento penale plasticamente rappresentato dall’alleanza con il Movimento 5 Stelle, sia del centrodestra che sovente ha utilizzato le riforme processual-penalistiche per garantire sostanziale impunità a imputati eccellenti, occorre trovare un punto di equilibrio. Ciò in quanto la giustizia è un bene comune e l’interesse al suo funzionamento riguarda la collettività nel suo insieme.

Ebbene, di fronte al fallimento della politica nel riformare questo importante ambito della vita pubblica, la via del referendum promosso dal Partito Radicale e dalla Lega pare essere l’unica via seriamente percorribile in quanto interroga direttamente il popolo (meglio sarebbe dire il corpo elettorale) nell’auspicio che da esso venga un monito forte e chiaro su quale tipo di giustizia vogliamo. In primavera, infatti, saremo chiamati a esprimerci su 5 specifico quesiti referendari che riguarderanno in particolare: riforma del CSM e abrogazione della candidatura; meccanismo di valutazione del merito del giudice; separazione delle carriere fra magistrati dell’accusa e magistrati giudicanti (PM e Giudice); abrogazione del motivo “reiterazione del reato” come causa di custodia cautelare; abolizione integrale della Legge Severino.

Perché votare SI? Ad avviso di chi scrive, per razionalizzare il sistema e renderlo compatibile con una giustizia finalmente giusta, liberale, efficace ed efficiente ma che non si trasformi in una vendetta nei confronti dell’indagato/imputato/condannato. Il primo quesito come detto riguarda il meccanismo di candidatura al CSM (Consiglio Superiore della Magistratura). Trattasi dell’organo di autogoverno della magistratura. Cioè, quell’organo che decide avanzamenti di carriera, trasferimenti, assegnazione e sanzioni disciplinari. In sostanza quella di governare la magistratura ordinaria nella sua interezza, sia penale che civile.

Se vincerà il SI, muta il meccanismo con il quale il singolo può candidarsi al CSM. Infatti, il magistrato che intenda svolgere quelle funzioni, non sarà più costretto a rivolgersi alle c.d. correnti per ottenere firme e placet alla candidatura medesima. Se attualmente, il far parte di una corrente è divenuto sostanzialmente pre-condizioni per poter aspirare a un posto nel Consiglio, con l’abrogazione della norma oggetto di quesito, si andrà verso un sistema più trasparente e auspicabilmente basto su valutazioni meritocratiche del candidato che dovrà “autonomamente” e in forza del proprio prestigio professionale tentare la via dell’elezione.

Il secondo quesito riguarda il procedimento di valutazione dei magistrati. Attualmente questa valutazione meritocratica avviene ogni 4 anni ed è rimessa al CSM sulla base di un parere motivato, ma non vincolante del Consiglio giudiziario del distretto in cui presta servizio. Insomma si tratta di una valutazione tutta interna che non lascia spazio a pareri di altri soggetti “laici” quali avvocati e/o professori universitari di materie giuridiche e che invece dovrebbero essere coinvolti al fine di garantire maggiore indipendenza nella valutazione staccandola da una logica meramente corporativa.

Il terzo quesito riguarda la separazione delle carriere tra Pubblici Ministeri e Giudici.
Attualmente, l’esame di magistratura è unico, e unico è anche l’ordine giudiziario nel suo complesso. Chi diventa magistrato può decidere se avviarsi alla carriera di PM (magistrato dell’accusa) o magistrato giudicante (il Giudice), ma non vi sono limiti al fatto che, a un certo punto della carriera, la stessa persona possa passare da un incarico all’altro. In sostanza, chi prima era una parte processuale (l’accusa) potrebbe divenire Giudice (ovviamente non nel medesimo processo). Tale prassi, tuttavia, ad avviso di chi scrive, rischia di ledere il principio di terzietà del giudice e del giusto processo costituzionalmente garantito dall’art. 111 Cost.

Ognuno ha diritto – in uno stato di diritto liberale – di essere giudicato da un giudice terzo e imparziale che, nel sistema accusatorio che caratterizza l’ordinamento dal 1989, non può essere chi ha per una parte di carriera esercitato il ruolo di parte processuale (l’accusa).
Il quarto quesito si addentra maggiormente nella dinamica processuale e riguarda uno dei suoi istituti più usati e abusati negli ultimi decenni: la custodia cautelare. La custodia cautelare in carcere consiste in un provvedimento provvisorio e immediatamente esecutivo che limita la libertà personale dell’indagato (cioè trattasi di detenzione anticipata) ogniqualvolta si ravvisi il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. ll quesito mira a elidere l’ultimo motivo, salvo casi gravi.

Ma anticipare la pena detentiva senza che vi sia una condanna e spesso senza che sia iniziato un processo, è qualcosa di profondamente ingiusto, tanto che dottrina e giurisprudenza avevano riservato tale possibilità a casi veramente rari ed eccezionali di pericolosità. A partire da un certo punto in poi nella storia italiana, le emergenze criminali (da terrorismo a mafia a corruzione ecc.) hanno eroso progressivamente la natura eccezionale dell’istituto che di fatto è stato abusato. Dato purtroppo confermato dal censimento sulla popolazione carceraria attualmente detenuta, allorché risulta che quasi un terzo è in carcere per custodia cautelare Detto dato si appalesa ancor più grave se si considerano i tanti casi in cui successivamente questi detenuti sono stati dichiarati completamente innocenti all’esito del processo. Se vincerà il SI sarà possibile limitare il ricorso alla misura della custodia cautelare ai casi realmente più gravi armonizzando il sistema al principio di non colpevolezza, costituzionalmente garantito e al principio per il quale in uno stato di diritto la limitazione della libertà personale deve essere davvero extrema ratio. Infine, l’ultimo quesito proposto, mira all’abrogazione di un intero provvedimento della Legge Severino che comporta la decadenza dalle funzioni o la incandidabilità di coloro i quali siano stati destinatari di sentenze di condanna per delitti non colposi.

Il dato ad avviso di chi scrive più deleterio della normativa consiste nella sua irretroattività. Prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina del soggetto in questione. Per coloro che sono in carica in un ente territoriale basta quindi anche una condanna in primo grado non definitiva per l’attuazione della sospensione, per un periodo massimo di 18 mesi.
Chiaramente, cosa accade nel caso in cui, a seguito dei tre gradi di giudizio l’imputato dovesse uscire assolto e nel frattempo è decaduto dalle funzioni, o non ha potuto esercitare i propri diritti di elettorato passivo costituzionalmente garantiti? Anche in questo caso, la vittoria del SI consentirebbe non la salvaguardia dei ladri come si sente dire da una certa parte ma semplicemente il ritorno al potere del giudice di valutare caso per caso se alla condanna debba o meno seguire anche l’interdizione dai pubblici uffici senza alcun illogico automatismo.

In conclusione, quindi all’esito della consultazione referendaria prevarrà il SI come auspichiamo, ci troveremmo di fronte a una giustizia maggiormente compatibile con i principio di diritto liberale, in ossequio non solo alla tradizione giuridica del nostro paese, ma soprattutto in funzione di tutela della libertà individuale di tutti e di ciascuno. Un sistema fortemente garantista e caratterizzato da una magistratura il cui agire sarebbe ricondotto nei canoni della nostra Costituzione e comunque soggetto a una valutazione sulla base dei propri meriti e capacità. Il processo penale finalmente vedrebbe attuato il principio del giusto processo con sostanziale parità tra accusa e difesa davanti a un giudice integralmente e realmente terzo e imparziale.

*coordinatore Buona Destra Toscana