Stefano pontecorvo

Quando lasciammo l’Afghanistan e lo lasciammo male

L’ultimo aereo da Kabul, cronaca di una missione impossibile di Stefano Pontecorvo, edito da Piemme, nella collana Saggi è da domani in libreria. Il diplomatico italiano di lungo corso ed ultimo rappresentante dell’alleanza atlantica a lasciare L’Afghanistan ormai in mano nuovamente ai talebani, traccia in questo suo corposo e ben articolato saggio, un bilancio serio, onesto e senza né se tantomeno ma, utile a capire non solo il fallimento americano della missione nato, quanto un mondo complesso così tanto lontano da noi.

A chi pensava che trasformare l’Afghanistan in un paese democratico dopo l’era oscurantista e terrorista dei Talebani fosse una missione impossibile, purtroppo oggi bisogna dare ragione. Certo, il bel saggio dal titolo L’ultimo aereo da Kabul, Cronaca di una missione impossibile a firma di Stefano Pontecorvo (Editore Piemme, Collana Saggi PM, Pagine 310, € 18,50) analizza i perché ed i percome di quel fallimento, così come gli errori strategici e di politica estera dell’Occidente e le prospettive future, anche alla luce degli sconvolgimenti geopolitici di questi mesi che stanno insanguinando l’Est Europa.

Per capire il fallimento americano – si legge nelle note editoriali – e della missione Nato in Afghanistan, le complessità politiche, etniche e sociali di uno stato grande due volte l’Italia. Per capire il mondo che verrà occorre fare una analisi seria. «Alle 18.21 di venerdì 27 agosto 2021 terminò formalmente l’avventura afghana della NATO. In quel momento il C130 italiano sul quale ero imbarcato, ultimo rappresentante dell’Alleanza Atlantica a lasciare il paese, passò il confine tra l’Afghanistan e il Pakistan. Per la prima volta in vent’anni l’Afghanistan era senza presenza NATO. Lasciammo il paese e lo lasciammo male, in mano a quegli stessi talebani che avevamo cacciato dal potere in poche settimane venti anni prima. E lasciammo un paese che aveva creduto in noi e una popolazione condannata ancora una volta, non certo per scelta, a un futuro ben diverso da quello che le avevamo fatto intravedere». Ne L’ultimo aereo da Kabul, Stefano Pontecorvo racconta l’ultimo anno e mezzo della repubblica islamica dell’Afghanistan, le cause profonde che hanno portato alla resa militare e al crollo delle istituzioni. Attraverso una breve storia del paese, l’autore mette in luce le caratteristiche immutabili che avrebbero dovuto farci prendere decisioni diverse da quelle che abbiamo via via preso, dalla Conferenza di Bonn, che aveva creato il moderno Afghanistan fino all’Accordo di Doha, che si è rivelata purtroppo la campana a morto per la repubblica. Un testo essenziale per capire un mondo complesso lontano da noi. Per capire gli errori dell’Occidente. Per capire meglio il nuovo ordine mondiale che si sta prefigurando anche con la guerra in Ucraina.

Tutto questo, come tutto nell’esistenza umana a volarla indagare storicamente ed acriticamente al microscopio viene da lontano. Ecco cosa diceva a Formiche.net un anno fa, appena nominato a Kabul, Stefano Pontecorvo: «L’Italia è considerato in Afghanistan un Paese amico da tutta la popolazione. Non perché siamo simpatici e belli, ma perché abbiamo raggiunto risultati impressionanti. Resolute Support ha diviso il Paese in quattro zone operative. All’Italia spetta la zona ovest di Herat, attualmente al comando del generale Enrico Barduani, dove si sono raggiunti risultati incredibili. L’impegno italiano ha consentito il miglioramento delle capacità delle forze afgane con una serie di azioni (compresi addestramento e mentoring su logistica, manutenzione e riparazione di veicoli armati) che hanno dato loro la sostenibilità della forza. Il 207esimo Corpo d’armata afgano, affidato in cura agli italiani, è ora in grado di esprimere una garanzia di sicurezza alla popolazione perché, vista l’azione italiana di trasferimento di competenze e capacità, è diventata una forza armata sostenibile, in grado cioè di funzionare quotidianamente nel tempo». 

È, poi, molto interessante l’analisi che Michele Valensise ne fa del libro di Pontecorvo su HuffPost. Egli scrive che: «Da secoli, sono le tribù i pilastri dell’organizzazione sociale del Paese. Hanno i loro codici, alleanze, antichi conflitti, sedimentati sullo Stato sorto nel Settecento a cavallo tra gli imperi persiano e indiano. La struttura tribale, ancora attuale, che prevale su ogni articolazione statale, e la sua cultura politica avrebbero dovuto ricevere maggiore attenzione dalla comunità internazionale all’atto di gettare le basi del nuovo Afghanistan (Conferenza di Bonn, 2001). Potevano essere utili le lezioni tratte in passato da inglesi e sovietici. Ad esempio, in quel passaggio di rifondazione dello Stato dopo l’11 settembre, i talebani furono del tutto banditi dal tavolo negoziale, un errore secondo l’autorevole mediatore dell’Onu Lakhdar Brahimi».
 
E del resto sembra, dunque, essere, questa riconsegna dell’Afghanistan, come dice Valensise ed il titolo del suo articolo, un regalo ai talebani da parte dell’Occidente. L’autore prosegue sottolineando il tracciato saliente del saggio di Pontecorvo, la sua parabola descrittiva e la sua lucidità di analisi: «Parte da lì il lungo impegno – scrive Valensise – occidentale militare e civile per il contenimento del terrorismo, che con Osama Bin Laden aveva trovato ospitalità in Afghanistan, e per la stabilizzazione del Paese attraverso formazione e assistenza per i governi di Kabul. Anche il rifiuto, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, opposto dal regime talebano alla richiesta degli Stati Uniti di collaborazione per stanare Al-Qaeda dal Paese, si iscrive nel radicato codice d’onore pashtun, per il quale persino il nemico che cerca rifugio deve essere difeso contro i suoi inseguitori. Nella tradizione pashtun – i talebani appartengono all’80% a quella tribù – molto ruota intorno a una certa idea dell’onore e della vendetta. Le alterne vicende della presenza occidentale hanno un punto di svolta con l’accordo di Doha (febbraio 2020), fortemente voluto dal presidente Donald Trump per fissare una data definitiva per il ritiro dei suoi soldati e per guadagnare qualche voto alle elezioni di novembre. Il negoziato tra Stati Uniti e talebani, condotto ignorando sostanzialmente gli alleati europei, sfociò in un’intesa irrituale tra il più potente Paese del mondo e un movimento non riconosciuto, considerato terrorista anche dal governo di Kabul. L’accordo stabiliva la scadenza per il ritiro completo delle truppe Nato (primavera 2021, poi prorogata ad agosto) e sorvolava sull’ulteriore assistenza da fornire all’esercito regolare afghano: un regalo generoso per gli insorti e un duro colpo per il governo, poi confermati dall’amministrazione Biden. La fine è stata amara. Con la precisione del protagonista Pontecorvo ricostruisce la vana trattativa tra insorti e autorità di Kabul per la formazione di un governo transitorio, le resistenze del presidente Ghani, scappato con molto denaro per paura dal Paese, lo sfaldamento di istituzioni ed esercito, la corruzione dilagante. La sua analisi degli errori è documentata e rigorosa, con la passione di chi da bambino aveva vissuto nella Kabul dei tempi felici. E soprattutto esprime rispetto per le donne e gli uomini che hanno sperato a lungo in un Afghanistan migliore e lo hanno aiutato fino all’ultimo, a cominciare dai nostri cinquantatré militari caduti lì in servizio».

Stefano Pontecorvo è nato a Bangkok (Thailandia), 17 febbraio 1957. Etra nella carriera diplomatica nel 1985. Dal 2013 al 2015 ha lavorato in qualità di consigliere diplomatico del ministro della Difesa italiano, operando su questioni politico-militari della Nato, incluso l’Afghanistan. Tra i suoi precedenti incarichi figura quello di vice capo missione presso le ambasciate d’Italia a Londra e Mosca.