“Quando Di Pietro mi disse: faccio arrestare i suoi dirigenti e i suoi familiari”

“Onorevole, lei arrivato con due ore di ritardo, capisco che ha l’immunità parlamentare, ma posso far arrestare i suoi dirigenti e i suoi familiari”. E’ questo l’incredibile incipit con il quale Antonio Di Pietro accoglie l’allora giovanissimo deputato Andrea Marcucci al tribunale di Milano.
A riportarlo è Il Riformista, anticipando l’uscita del libro “Io sono liberale”, scritto dal senatore Pd insieme a Giovanni Lamberti.

Le pagine, cui ha avuto accesso in anteprima Aldo Torchiaro, lo annunciano come un notevole atto di denuncia sul metodo con cui certa magistratura ha condotto la “guerra sporca” dell’inchiesta che ha preso cittadinanza sulle cronache italiane come “Tangentopoli”, ma anche  “Mani Pulite”.

“Da quell’approccio capii subito che la giustizia intendeva procedere per vie brevi, in maniera borderline, sollecitava confessioni e ammissioni con l’esercizio del potere. Non sta a me giudicare se quegli arresti preventivi fossero giustificati, ma ho toccato sulla mia pelle quel modo di fare, non ho vissuto quel periodo solo da spettatore”.

Nel 1992, nella veste di pm, Di Pietro si erge a paladino della giustizia e non fa sconti a nessuno. Marcucci è accusato di aver finanziato il Pli.

Il fascicolo era stato trasferito dalla procura di Roma a quella di Milano. “Il partito mi chiese un aiuto per le elezioni amministrative del 1991. Parlai con mio padre, diedi un contributo senza avere nulla in cambio. Cercarono di legare il finanziamento al mio rapporto con De Lorenzo, a presunti vantaggi nel settore farmaceutico, ma smontai con facilità le accuse. Poi ripiegarono su presunti benefici nel settore delle tv, tirando in ballo una campagna anti-Aids. Non ci fu alcuna condanna né rinvio a giudizio, ma l’incontro con Di Pietro fu pesante. Mi resi conto di quello che stava capitando in Italia, ma anche dei modi che utilizzava la giustizia”, racconta Marcucci a Torchiaro.

In primo grado Marcucci fu condannato a 10 mesi di reclusione e 60 milioni di lire di multa; poi, in secondo grado “il pm chiese scusa a tutti gli indagati”.