mario draghi

Perché il 2022 è l’anno del dragone

Questo 2022 si chiuderà sotto il segno del Drago. Non intendo il drago cinese, che potrebbe (ma non ha interesse) chiudere la guerra in Ucraina, ma del Drago italiano. Di fatto si è preso il ruolo che fu della Merkel al G7, stabilendo le regole del gioco al prossimo G20 con Putin, se vuole, relegato su piattaforma digitale e senza foto opportunity.

Il Drago Mario è dovuto rientrare a casa perché i ragazzi avevano fatto disperare mamma Mattarella. L’immaturità della politica italiana è un problema che affronterà con il suo solito stile pragmatico. Farà tutto quello che si deve fare. Già di fatto ha cominciato a muovere i suoi pezzi sulla scacchiera. Sono pezzi ministeriali, Di Maio e Giorgetti, che stanno lavorando ai fianchi gli indeboliti e confusi, dopo il flop amministrativo, Conte e Salvini. I quali in un asse dell’immaturità stanno scalpitando per andare all’opposizione, dove troverebbero il pane duro della Meloni.

Draghi ha, senza il narcisismo professorile montiano, aperto il cantiere non di un partito, ma di un cambio di sistema politico. In cui si leggono la lettera del discepolo Calenda e le mosse di tanti altri piccoli pianeti, centrali più che centristi, verso la fine dello sterile bipolarismo italiano. Il maggioritario è morto ma Dio e Mammona sono vivi e vegeti. Tutto questo viene reso possibile dalla Presidenza Mattarella, che nel ’94 scrisse la prima legge della malferma seconda Repubblica.

Il Sergio nazionale da Castellammare ha scandito la fine del compromesso storico del dopo Moro, la fine del CAF, la fine della Prima Repubblica, ed ora, con la sua seconda illuminata Presidenza, sovrintenderà saggiamente alla fine del bipolarismo e delle sue infauste ed inconcludenti leggi maggioritarie. Che nulla hanno giovato al Paese sui temi prevalenti, Debito, Crescita, Competitività. Ci hanno tenuto in una trentennale stagnazione che oggi si trova in Stagflazione economica e sociale.

Con Mattarella, arbitro incontestabile, Mario Draghi ci metterà poco a fare deflagrare i deboli partiti ed gli ancora più fragili rapporti coalizionali. Non ha nemmeno bisogno di entrare in campo, ha più agenti che stanno lavorando per lui.

L’unico che ancora fa il babbo per non pagare dazio, come si dice in Sicilia, è Enrico Letta, ma qualcuno, non solo suo zio Gianni, gli spiegherà che la logica del partito a vocazione maggioritaria si può fare in tempo di pace e gioco al piattino, non in tempi di guerra e testate nucleari.

Il gioco si è fatto duro e non è più tempo di ragazzi, ma di duri che cominciano a giocare. E il Drago Mario è il più duro di tutti.

Così è se vi pare.