Vittorio Emanuele Parsi

Parsi: “Le democrazie hanno un costo, ma serve il nostro impegno. Putin non deve vincere la guerra”

Sì, c’è ancora la possibilità di evitare l’impatto con l’iceberg ed è proprio l’Europa che, più di chiunque altro, potrebbe contribuire a ristabilire la rotta originaria, a patto che riesca a riequilibrare la dimensione della crescita e della solidarietà.

Questo il pensiero – e anche l’auspicio – di Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano, che, nel libro “Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale”, fotografa un Occidente destinato ad un inesorabile declino, orfano di quel tacito patto sociale che dal secondo dopoguerra aveva garantito uno sviluppo parallelo di democrazia e mercato, di uguaglianza e libertà.

Lo scrittore, durante un incontro ospitato nella sede della Buona Destra di Taranto e condotto dal leader Filippo Rossi, spiega quali sono gli accorgimenti da adottare affinché il sistema liberale riprenda il suo corso, scongiurando il naufragio.

Un libro, quello di Parsi, affascinante e per certi versi addirittura “impressionante”, come ha sottolineato lo stesso Rossi, perché capace di anticipare l’inquietante scenario con cui il mondo si è svegliato all’alba del 24 febbraio, pur avendolo scritto prima. Il volume, in effetti, è frutto di un lavoro di cinque anni: la prima edizione, breve, è datata 2017; la seconda, americana, 2021. Questa, la terza, arriva a distanza di un anno. “Sono stato uno dei pochi che, in questi anni, ha dedicato attenzione non solo alla Cina, ma anche alla Russia come potenza emergente: Putin picchiava i pugni per essere immesso nel futuro, trattando gli attori esterni come ha sempre trattato i cittadini russi, fino a lobotomizzarli dal punto di vista politico. Voleva portare la Russia a potenza di primo livello, accanto agli Usa e alla Cina (unici protagonisti della scena internazionale fino al 23 febbraio, ndr), usando gli unici strumenti a sua disposizione: le risorse energetiche e la forza militare”. E, mentre quest’ultima è stata sopravvalutata, le seconde hanno fatto comprendere all’Unione europea l’urgenza di uscire dalla dipendenza degli idrocarburi.

La tesi del libro di Parsi – anche ufficiale della Marina militare, in congedo dal 28 settembre 2021 – è che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, l’ordine internazionale liberale sia stato progressivamente sostituito dall’ordine globale neoliberale e il vascello sul quale l’Occidente si era imbarcato, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sia stato portato fuori rotta. Su questa rotta, diversa e molto più pericolosa, si staglia, minaccioso, un iceberg.

L’ordine internazionale liberale, come lo intende l’autore, “è l’insieme di principi e istituzioni attraverso i quali il sistema internazionale è stato governato a partire dal Secondo dopoguerra: tale ordine si fondava su una vocazione universale e generalista volta a ricostruire l’Occidente sui principi dell’uguaglianza e della libertà, dopo le nefandezze del conflitto mondiale”. In altri termini, dal secondo dopoguerra la competizione economica era stata inserita in un vasto reticolo di assetti sociali e istituzionali affinché l’ordine sociale e il sistema del welfare non venissero sopraffatti dalle logiche del mercato.

Il sistema internazionale liberale, sicuramente perfettibile e non privo di lacune, avrebbe dovuto, secondo Parsi, espandersi e mantenere i propri equilibri anche dopo la caduta del Muro di Berlino, con la fine del bipolarismo e il progressivo avvicinamento dei paesi dell’Est nell’orbita occidentale e americana. Quanto avvenne fu invece, ritiene Parsi, un tradimento dell’ordine liberale: la globalizzazione fu affrontata secondo i dogmi e i principi del neoliberalismo, emersi negli anni Ottanta in ambito accademico con Milton Friedman e in quello politico con Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Il paradigma neoliberale, sorto sulle macerie del keynesismo negli anni della stagflazione, con il leitmotiv dell’antistatalismo e della deregulation ha caratterizzato la storia politico-economica degli ultimi quarant’anni, contribuendo più di qualunque altro fattore al disfacimento dell’ordine internazionale liberale. “Il mondo – sottolinea Parsi – non è diventato più ricco per tutti, ma solo per pochi: le disuguaglianze sono aumentate a dismisura, rendendo più fragili le nostre democrazie”. E, infatti, come puntualizza Rossi nel corso dell’incontro, “è come se qualcosa nel nostro mondo liberale si fosse inceppato”. Tornando alla metafora della nave, come se, ad un certo punto, alla nave servisse il capitano. Ma “siccome niente è dato, come si esce da questa sorta di fuga dalla responsabilità?”.

“Le democrazie hanno una serie di problemi che (paradossalmente, ndr) ci sta mettendo sotto il naso Putin, ma la nostra nave è la migliore del mondo finora. La democrazia ha un costo, lo abbiamo imparato ora, e piano piano accetteremo anche che è necessario pagarlo. La democrazia non è destinata restare senza il nostro impegno, c’è anche tanto da lavoro da fare e la politica è chiamata a farlo, perché proprio quando il comando non è efficace e il comandante perde autorità avviene l’ammutinamento”.

Al termine dell’incontro, a proposito di politica e politici (ir)responsabili, una riflessione obbligata sull’invio di armi in Ucraina visto che due partiti di maggioranza non sono allineati.

Parsi risponde, come nel suo stile, argomentando i due scenari. “Se non mandiamo le armi, Putin vince e, inevitabilmente, quei principi che abbiamo cercato di costruire in questi ultimi 70 anni si indeboliranno”. Non mandare le armi, in buona sostanza, significherebbe “violare la sovranità di un vicino, annetterti un paese, mentire sistematicamente ai tuoi colleghi capi di Stato e all’opinione pubblica. Come a dire: il crimine paga”. Inoltre “perderebbe credibilità l’Unione Europea e avvallerebbe le posizioni alla Orban”. Al contrario, mandando le armi in Ucraina “sarebbe, sì, possibile un’escalation della guerra, ma impediscono a Putin che una vittoria tattica sul campo si trasformi in una vittoria politica strategica”.