La guerra russo-ucraina che da ormai un mese sta occupando la tragica scena della politica internazionale pone all’attenzione pubblica la necessità di dare luogo a un ripensamento delle relazioni internazionali e all’organo che maggiormente le identifica e le rappresenta: l’ONU.
Dobbiamo prendere atto che oggi le Nazioni Unite definiscono un mondo che non esiste più. Yalta è lontana e tante, troppe, cose sono cambiate per poter continuare a rimanere ancorati a quell’assetto di potere e di rapporti di forza fra statiDi conseguenza, l’ONU sconta la stessa inefficacia dell’allora Società delle Nazioni che, nonostante ogni più rosea speranza, non riuscì in alcun modo a impedire la Guerra Mondiale. Scarsità di efficacia ed efficienza istituzionale e scandali che hanno riguardato alcuni membri di rilievo sono solo alcune delle cause che ne determinano la sostanziale e quasi irreversibili crisi.
Sono decenni che si parla di riforma dell’ONU ma poche sono stati gli elementi di novità nel consesso. Eppure, non possiamo rassegnarci al fallimento di quel grande esperimento che su la creazione di una sede sovranazionale che garantisse relazioni internazionali equilibrato nell’utopica prospettiva della pace nel mondo, dopo la carneficina della Seconda Guerra Mondiale.
Con il crescente numero di conflitti locali, la minaccia di una nuova deflagrazione globale con il portato nucleare che le è inevitabilmente propria, occorre valorizzare quelle istanze umanistiche che furono alla base della costituzione dell’ONU e riflettere seriamente su come riformare l’Organizzazione. Una riflessione, che, si badi bene, non deve avere uno stantio sapore accademico ma che si muova su binari prettamente strategici e operativi, per consentire al Supremo Consesso Internazionale rapidità ed efficacia di azione anche, e forse soprattutto, in funzione preventiva degli abusi internazionali oltre che sul piano della repressione.
Il tema che viene in gioco in questo tipo di ragionamento, è sempre il medesimo. Il Consiglio di Sicurezza e i suoi membri permanenti. Il Consiglio di Sicurezza, come ben sappiamo è l’organo delle Nazioni Unite che ha il faticoso compito di garantire e mantenere la pace e la sicurezza nelle relazioni fra gli Stati. Se è vero che da 1965 è passato da 11 a 15 elementi, di fatto, dal ’45, esso vede sempre gli stessi Paesi sedere al tavolo dei membri permanenti con diritto di veto. Quest’ultimo, per come era pensato all’epoca della sua istituzione cioè in funzione garantista nei rapporti reciproci e con estrema pervasività (ogni decisione, infatti prevede l’unanimità), oggi si rivela il maggior ostacolo allo svolgimento delle funzioni che le Nazioni Unite sono (o meglio, dovrebbero essere) chiamate a svolgere. I membri permanenti, come noto, sono USA, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia.
Ma cosa accade se, come in questo caso, il Paese aggressore è uno di questi cinque? Come agire, nel caso in cui uno di questi eserciti il diritto di veto, per paralizzare ogni azione di censura o ogni risposta anche sul piano della peacekeeping? La risposta è, purtroppo, molto semplice. Non accade nulla e non si può agire. L’ONU rimane costretta a una sostanziale immobilità. Pertanto, a poco serve, dal punto di vista operativo, che ben 141 Paesi abbiano condannato in sede di Assemblea Generale, l’aggressione della Russia all’Ucraina (seppur approvando una risoluzione “annacquata” nei termini e nella sostanza). Certo, il risultato politico è importante e sarebbe sciocco negarlo. Tuttavia, questo recente passaggio, non ha ottenuto – né può ottenere – ricadute sul piano pratico nel breve periodo.
Lo Stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite sconta, nel suo mandato esecutivo, questa estrema difficoltà. Tant’è che l’attuale Segretario Guterres, non è riuscito a incidere in alcun modo neanche nella fase che ha preceduto l’invasione russa.
Insomma, un sistema che purtroppo avrebbe bisogno di essere ammodernato e ripensato.
Non vi è dubbio che la crisi delle Nazioni Unite dipenda anche – in modo più strutturale – dalla frammentazione dell’ordine mondiale, molto più complesso rispetto agli scenari da Guerra Fredda e dei due blocchi contrapposti. Così come non immune, dal punto di vista eziologico, è la tendenziale e sempre più progressiva sfiducia, da parte dell’opinione pubblica mondiale, verso gli organismi internazionali e sovranazionali. Forse, non è questo il momento storico – caratterizzato dalla guerra in corso – per avere la freddezza di poter metter mano a una materia così complicata, né è facile immaginare che i Paesi che godono del privilegio del veto vi rinuncino sic et simpliciter.
Ciò nondimeno, è assolutamente decisivo che, prima o poi, questo tema venga affrontato e risolto per adeguare l’azione dell’ONU al mutato contesto geo-politico internazionale e per far sì che la stessa Istituzione recuperi credibilità agli occhi delle popolazioni che sono più interessate alla sua azione. Se le attuali tragedie portassero a una riforma degli aspetti più deficitari delle Nazioni Unite, già sarebbe un gran risultato.