No, Giorgia meloni non era e non è pronta. E fino ad ora è risultata brava solo perché non ha ancora messo mano a nulla, considerando che nessuno le ha ancora neanche affidato l’incarico di formare il nuovo governo, sebbene lei si atteggi a rappresentante del popolo investita dal consenso popolare. Intendiamoci: Giorgia Meloni ha preso alle elezioni la maggioranza dei voti, è vero. Ma per assumere l’incarico di presidente del Consiglio deve prima attendere le consultazioni che presumibilmente il capo dello Stato Sergio Mattarella avvierà domani, dimostrando poi di avere una salda maggioranza che la sostiene. Ed è abbastanza evidente come oggi di un blocco solido per governare la Meloni non disponga affatto.
No, Giorgia Meloni non è affatto pronta, come ci racconta da mesi, a governare. Non è pronta perché non è capace di tenere insieme la sua coalizione, come ampiamente previsto già in campagna elettorale. Troppa la distanza sui temi economici e di politica estera con gli “alleati” Lega e Forza Italia, ostacolo di matrice putiniana allo sbandierato atlantismo di Giorgia. Gli sproloqui senili di Berlusconi, tra un sorso di vodka del “dolcissimo” amico Putin – sì, lo stesso che ha invaso e insanguinato l’Ucraina e che la comunità internazionale vorrebbe mandare sotto processo per crimini contro l’umanità –, una crociata a favore della fedele Licia “KissMeLicia” Ronzulli e una crepes in compagnia di Marta Fascina, evidenziano non solo il fatto che Forza Italia non intenda accettare il ruolo di subalternità alla leader di Fratelli d’Italia, ma anche che la stessa Meloni fino ad oggi ha gestito male, anzi malissimo, questa prima fase post elettorale. E lo ha fatto perché si sente onnipotente.
Altrimenti non si spiega tutta questa fretta – a rischio di mandare in pezzi una coalizione già precaria, che si basa su accordi effimeri che durano sì e no qualche ora – di formare un governo ancora prima di aver ricevuto l’incarico. E non si spiega la forzatura di voler imporre personaggi divisivi come Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana (inopportuni per la sovraesposizione mediatica che non si addice alla seconda e terza carica dello Sato, per non parlare dei dubbi del presidente leghista sulle sanzioni alla Russia…) alla presidenza delle Camere. Il problema della Meloni non è la deriva illiberale o il fascismo che si porta dietro (il fascismo, se proprio lo vogliamo dire, era ordine e disciplina, mentre qui fino ad ora abbiamo visto solo caos e mancanza totale di visione), non è il ritratto di Mussolini o il saluto romano. E’ la presunzione di volere tutto, di volersi prendere tutto senza fare i conti con il fatto che qualche concessione agli alleati va fatta per forza.
Il delirio filo putiniano di Berlusconi – il quale ammette candidamente di mentire alla stampa su quello che davvero pensa della questione Ucraina, dello zar e delle sanzioni, oltre a svelare di scambiarsi “dolcissime lettere” e doni con l’autarca del Cremlino proprio nel giorno in cui il buon Vlad uccideva civili ucraini inermi, tra cui bambini, con bombe a grappolo vietate da ogni convenzione internazionale – è solo uno dei tanti problemi che affliggono Meloni. E’ inutile girarci intorno: la “filo atlantista” Giorgia, se vorrà governare, dovrà scende a patto con esponenti politici di partiti, Lega e Forza Italia, che da anni intrattengono più o meno alla luce del sole rapporti stretti con l’uomo che mette a rischio l’assetto democratico del mondo intero. Meloni è già ostaggio dei filo russi, è chiaro, e anche se alla fine per questo endorsement pro Putin di Berlusconi alla fine dovesse saltare la poltrona degli Esteri per Antonio Tajani (come si fa, del resto, ad affidarla ad un esponente di Forza Italia, viste le premesse?), il problema di una maggioranza senza bussola già prima di partire non si risolverà tanto facilmente. Perché Giorgia non è pronta, e, suo malgrado, è anche ricattabile.