La storia della presidenza Musumeci ricorda il dramma di Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore”. Ovviamente parliamo di morte politica, quella umana è nelle mani del Signore. Il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci si è dimesso, cessando la sua carica con tre mesi di anticipo. Lo ha fatto per favorire l’election day in Sicilia, cosa che garantirebbe in teoria maggiori chance, forse, alla sua parte politica. Sostiene di non voler scambiare queste sue dimissioni con un seggio alle nazionali. Si vedrà.
Ormai la storia tra Musumeci ed il centrodestra isolano era finita da un pezzo. Non c’era partito alleato che lo volesse ricandidato governatore. Per questo negli ultimi tempi si era attaccato alle ginnelle della madre del suo nuovo partito, in cui ha sciolto il suo movimento Diventerà Bellissima, la Giorgia nazionale. A lei rivolgeva preci per una sua ricandidatura a presidente dei siciliani, ma dopo un sostegno iniziale, complice la caduta del governo Draghi, è subentrata la realpolitik delle alleanze per la vittoria nei collegi nazionali. Per cui la sua posizione, per garantire la leadership della Meloni nell’alleanza, è stata sacrificata come Ifigenia in Aulide per la vittoria della guerra di Troia. È probabile che le posizioni sulle regioni siano le seguenti: la Lombardia in quota FI con la Moratti, il Lazio a Lollobrigida, cognato della Meloni, e la Sicilia come premio di consolazione alla Lega orfana di Fontana. Ai lumbard leghisti essere sacrificati per la Sicilia sa di beffa storica e alla lunga sarà una scelta che produrrà conseguenze.
Ma lui, Nello Musumeci, la ricandidatura l’ha cominciata a perdere dopo il voto del 2017. Non ha dato una crescita politica al suo movimento, prima tentato da una concezione autonomista e poi virando verso la Lega senza mai concludere nulla. Alle Europee non votò nessuno, atto tipicamente impolitico, rendendo acerrima l’inimicizia con il suo ex amico Stancanelli, candidato in FdI. Poi ha fatto di tutto per seminare zizzania nei partiti alleati, rubandogli gli assessori e ponendoli in quota sua in un ipotetico governo del presidnete. E qualcuno gliel’ha giurata. In primis il capo di Forza Itali, il sempiterno Gianfranco Miccichè. La disfida fra i due è diventata un duello lungo e sanguinoso, ed un perdente, quello che aveva più da perdere, lui, Nello Musumeci. Ora si avvia triste al viale del tramonto, sperando in un dignitoso ruolo di governo nazionale qualora vincesse il centrodestra.
La Sicilia che lascia è peggiore di quella che ha ereditato, più povera, più sporca, con strade in dissesto ovunque. Il colpo di grazia al suo orgoglio glielo hanno dato proprio i palermitani Ficarra e Picone, parlando davanti a lui a Taormina di strade da terzo mondo. Non abbiamo fatto un passo che uno in avanti sui rifiuti che ammorbano l’isola. Un siciliano su quattro è povero record dai tempi del dopoguerra. Le imprese sono allo stremo e l’autunno sarà in Sicilia bollente più dell’estate. Di fatto campiamo di reddito di cittadinanza, primo datore di reddito, ma non di lavoro, dell’isola.
La maledizione del presidente della Sicilia ha colpito anche lui. Lui sostiene di essere stato onesto, ma è un’onestà spesso frutto dell’inazione. E più semplice risultare intonsi da problemi se non si fa assolutamente nulla. Ha fustigato per anni i dipendenti regionali chiamandoli fannulloni, ma onestamente non si capisce cosa abbia realizzato questo governo regionale. La sua è stata una presidenza ordinaria, banale, retorica. Senza una riforma, un’azione amministrativa che si possa ricordare.
Adieu Musumeci l’uomo dei cavalli di Ambelia, un po’ poco per essere ricordato, a volte meglio degli “scecchi” operosi.