“Ma chi ce lo fa fare?”. I no a Giorgia arrivano da chi crede che il governo durerà poco

Come spiegare i no a Giorgia Meloni in queste ore? Come mai i vari Fabio Panetta e i Dario Scannapieco si defilano e declinano l’invito della leader di FdI ad assumere un ministero di peso? Semplice, non credono al nascente governo; non intendono “bruciarsi”. Ce le figuriamo proprio queste qualificatissime persone davanti allo specchio intente a chiedersi: «Oh e se poi non dura?». Anche perché la credibilità non è soltanto dura da conquistare. Eh no, signori, è preservarla che è una sfida perenne. Per questa ragione non deve stupire che Meloni non abbia la fila fuori dalla porta: nessuno sembra intenzionato a voler fare il ministro nel suo esecutivo, proprio perché nessuno nutre grandissime aspettative. Perlomeno sulla durata dell’esecutivo.

C’è chi già rimpiange Mario Draghi, che ieri ha omaggiato la sua squadra al termine dell’ultimo Cdm, dicendo: «Avete dimostrato maturità e pazienza». E poi si è affrettato a sottolineare: «Ora transizione ordinata, gli esecutivi cambiano, l’Italia resta». Un saluto con tanto di foto che però ora passa in secondo piano rispetto alla notizia principale. La domanda del momento è una sola: quanto durerà il governo presieduto da Meloni? Qualcuno giura come un gatto in tangenziale. Dal canto suo la leader di FdI continua a pensare alla sua squadra, noncurante, come scrive Mario Lavia su «Linkiesta» del nervosismo di Silvio Berlusconi, che «non è classificabile solo nel quadro della lotta per aggiudicarsi un ministero (la questione Ronzulli sta diventando una barzelletta) ma forse è anche il riflesso di un mancato affidamento del vecchio imprenditore sulle doti e sulla non-esperienza della “signora Meloni”». Le difficoltà sul sentiero di Meloni sono evidenti: lo stesso ripiegamento sul leghista Giancarlo Giorgetti, come successore di Daniele Franco (pare che abbiano chiesto anche a lui) è un chiaro segnale dell’abbassamento della qualità tecnica del ministro più importante, quello che dovrà fare i conti con le bollette, l’inflazione, il lavoro.

«Il tanto annunciato ‘altissimo livello’ forse arriverà in extremis ma certo per ora non ve n’è traccia e nella maggioranza non solo non c’è concordia ma soprattutto non si vede uno slancio fiducioso per il nuovo governo», rimarca sempre Lavia. Meloni, preoccupata dal pressing dei giornalisti, continua a creare attorno a sé un po’ di suspense: «Puntiamo a un governo di altissimo livello, che parta dalle competenze, il governo più autorevole possibile, e non c’è spazio per questioni secondarie rispetto a questo obiettivo». Cos’altro le resta, sennò? Sempre sue le parole: «Noi siamo una cosa completamente diversa da tutto quello che è stato visto finora», che per chi ha apprezzato il governo Draghi è una frase che arriva come un colpo al cuore. Altro che continuità, interessi degli italiani e compagnia bella. Finora sembra che al centrodestra stia a cuore solo una cosa: la spartizione delle poltrone.