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I casi Calderoli e Giorgetti minano la già debole leadership di Salvini

E’ il Carl Von Clausewitz alla Nutella. In pochi anni ha sfasciato due governi, cannato l’elezione del presidente della Repubblica, ingigantito la sua alleata, elevato il suo numero due. E’ la straordinaria e realistica fotografia scattata da Carmelo Caruso oggi su Il Foglio, che aggiunge: “Il Pd non potrà che ripartire da Matteo Salvini alla guida”. Un’immagine che fa sorridere, ma anche piangere, perché la verità è che tutto quello che tocca il capo del Carroccio diventa bronzo: danneggia chi vuole aiutare e e aiuta chi vuole punire. Ma stavolta potrebbe averla fatta grossa, tanto da rischiare l’implosione della Lega e la messa in discussione della sua stessa leadership. Il buon Salvini, in pratica, per frenare l’elezione di Giancarlo Giorgetti a presidente della Camera (Pd e Calenda sono pronti a votarlo) rischia di verderselo promosso ministro dell’Economia (per FdI “sarebbe un ministro di spessore”).

Proprio così: quando Salvini ha capito che era un valido candidato presidente della Camera ha deciso che il suo sarebbe stato, per ripicca, “L’abogado” Riccardo Molinari (ha preso l’abilitazione in Spagna). Una mossa incauta, a dir poco, visto che scontenterà per sempre Roberto Calderoli che sogna di presiedere il Senato.

Ma chi è, poi, costui? Molinari è colui che nel 2018, in totale silenzio, da capogruppo del Carroccio, e contro il parere di Salvini, diede mandato ai parlamentari di votare il famoso emendamento Vitiello. Con quell’emendamento venivano cancellati i reati di peculato compresi quelli di Molinari. Chi c’era parla di scene di pianto tra i leghisti. Salvini era infuriato. La colpa vene addebitata ai parlamentari che avevano solo eseguito gli ordini del capogruppo. Molinari si chiuse nel suo ufficio della Camera. Il 24 novembre, qualora riuscisse a essere eletto presidente della Camera, dunque, Molinari dovrà forse assentarsi: inizia un processo contro di lui per falso. E’ un vecchio caso che riguarda le elezioni di Moncalieri: insieme ai vertici della Lega avrebbe depennato un candidato di Fi.

Ad ogni modo, sebbene sarebbe pronto anche ad incatenarsi pur di non vedere Giorgetti al Mef, Salvini è riuscito nell’impresa miracolosa di farlo sembrare una sorta di Luigi Einaudi, osserva sempre Caruso su Il Foglio. Giulio Tremonti lo sponsorizza perché si ricomporrebbe, alternata, la vecchia coppia. Nel mondo bancario si parla in queste ore di “ritorno al futuro” (nel 2001 Tremonti era ministro e Giorgetti presidente della commis sione Bilancio). L’Hegel della Meloni, Giovanbattista Fazzolari, lo apprezza perché sarebbe profumo di
Londra contro odore di camembert (è quello di Alessandro Rivera, direttore generale, francofilo che legge il Monde). Insomma una mossa, quella di accontentare Molinari promettendogli la guida di Montecitorio, che scontenterà per sempre Roberto Calderoli, che sogna di presiedere il Senato.
A Cernobbio, questa estate, sembravano tutti di Sondrio: “Al Mef ci può andare Giorgetti”. Se Salvini fosse furbo, dovrebbe sperare che diventi ministro dell’Economia, perché se rimanesse parlamentare semplice farà quello che gli riesce meglio: l’editorialista che spiega a Salvini cosa dovrebbe fare Salvini.