A vedere questo centrodestra dopo questa tornata di ballottaggi amministrativi sembra di assistere a quegli esperimenti con i topolini impazziti che, cercando di uscire da un labirinto senza vie di fuga, inevitabilmente sbattono la testa, si fanno male, ma continuano imperterriti sulla stessa fallimentare strada.
La batosta elettorale, al di là dei proclami di vittoria, era del tutto inaspettata e obiettivamente i tre leader non sanno cosa fare per assorbire il colpo e metabolizzare il sinistro terrore di perdere alle politiche, dilapidando un capitale elettorale che al momento sembra non scalfibile. Ciononostante, invece di dare una sterzata radicale alla propria strategia, si affidano a vecchie e consunte formule, come i vertici di coalizione, i tavoli degli alleati o addirittura all’ utopia retropistica di “ritornare allo spirito originario”. Tutte cose inutili, ma loro insistono! Nessuno ha il coraggio di dire quello che va detto! Questa coalizione è morta e i rispettivi leader per vari motivi non sono all’altezza del compito cui ambiscono.
Berlusconi, anche per ragioni anagrafiche, non può più fare il front-man e a dispetto delle intenzioni e delle dichiarazioni (“Forza Italia da ora alle elezioni politiche tornerà al 20%”), gli azzurri possono pure ben accontentarsi: lenta ma progressiva crescita che tuttavia non riporterà mai il partito ai fasti di un tempo e lo renderà sempre più incapace di bilanciare in senso moderato una coalizione o sedicente tale sostanzialmente estremista. Salvini e Meloni sono più impegnati nella lotta fratricida tra loro, del tutto incuranti del fatto che ciò sta distruggendo dall’interno il centrodestra (per fortuna!). Quel che emerge chiaramente è che manca un vero e proprio leader che abbia carisma e capacità di mediare e sintetizzare una proposta politica che vada oltre urla e slogan.
Eccesso di autoreferenzialità che è sintomo di estrema debolezza per Lega e Fratelli d’Italia che, infatti, tutte le volte che dal sondaggio (virtuale) si passa alla tornata elettorale (reale) perdono appeal e consento. Crisi di leadership assoluta con Salvini che sente scivolare via dalle mani il partito, e non avendo più il tocco magico sente avvicinarsi la fine per mano dei suoi. Meloni, se possibile, ancora peggio. Ubriacata dai sondaggi e lucrando sulla comoda poltrona dell’opposizione urlante è del tutto indifferente a tutti quei passaggi necessari per costruire e consolidare una vittoria che rischia di essere davvero solo teorica.
Gravissimo errore per un leader, o aspirante tale. In qualsiasi corso di formazione sulla leadership insegnano che per creare un progetto vincente sono necessari: 1) obiettivi chiari; 2) quadra affidabile e coesa; 3) piano d’azione. Ebbene, la Meloni non ha obiettivi chiari che non siano “la vittoria per la vittoria”, non ha alcun obiettivo né alcuna direzione verso cui traghettare il paese. Non ha squadra né internamente al proprio partito né tantomeno di coalizione né si cura di crearsela, visto che non sente il bisogno di confronto alcuno con gli alleati se non per mezzo di prove di forza a colpi di sondaggio. D’altra parte, non è un caso che il centrodestra abbia perso queste amministrative per l’incapacità di Fratelli d’Italia di scegliere candidati all’altezza, ma al contempo volendo imporli a tutta la coalizione. Non avendo poi obiettivi chiari, Meloni non ha nemmeno un progetto sensato per raggiungerli. Il risultato è che la sua leadership è inconsistente, una bolla mediatica che non impedisce alla Presidente di FDI di risultare personaggio divisivo anche all’interno della propria coalizione. Insomma, le mancano quelle doti che fanno di un capo un leader. E su questo, non c’è sondaggio che tenga. La partita è persa. O quelle doti si hanno, o non si hanno. Tertium non datur. E lei non le ha!
Perciò, a ben vedere, la divisione del centro destra non è la causa della sconfitta, ma l’effetto di una coalizione senza obiettivi comuni e senza un federatore in grado di trovare i giusti punti di caduta. Sparito Berlusconi per ovvi motivi, il centrodestra, creato a sua immagine e somiglianza è deflagrato, senza lasciare in eredità alcunché! Il problema è cioè strutturale e non lo si risolve invocando fantomatiche “unità” o rievocando i bei tempi che furono, né può un vertice avere quella valenza salvifica che i protagonisti intendono attribuirgli.
Perciò potranno anche vincere – ammesso che lo facciano e, per i motivi sopra indicati, più di un dubbio sussiste – ma non convinceranno mai né tantomeno saranno in grado di governare.