L’Italia nella morsa del terrorismo europeo

di Arianne Ghersi

Il 24 novembre viene compiuto un attentato terroristico a Lugano (Canton Ticino, Svizzera) all’interno di un centro commerciale, il “Manor” di Piazza Dante, nel corso del quale una cittadina svizzera di 28 anni aggredisce con un coltello due donne.

L’aspetto che dovrebbe sconvolgere noi italiani è il fatto che nessun telegiornale nazionale abbia riportato la notizia. Il Canton Ticino è indubbiamente legato all’Italia essendo il cantone italiano per eccellenza, nel quale molti giovani cercano nuove possibilità e con un’importante presenza di frontalieri che ogni giorni escono dal nostro paese per lavoro e far ritorno in patria alla sera. L’informazione a livello nazionale ci ha precluso la possibilità di approfondire questa notizia.

Quanto è successo in Svizzera, fortunatamente, non avrà le conseguenze umane tragiche a cui ormai siamo tristemente abituati: le ferite riportate dalle vittime sembrano di lieve entità, altri clienti del grande magazzino hanno saputo interrompere l’azione della donna in pochi istanti e l’hanno trattenuta fino all’arrivo delle autorità cantonali.
Quanto vorrei qui sottolineare sono le incongruenze: il Corriere del Ticino ha riportato la notizia secondo cui la donna sembra fosse già “attenzionata” dalle autorità dal 2017 per via di sospette affiliazioni al terrorismo jihadista e che, in virtù di ciò, fosse già stata segnalata alla Fedpol (Ufficio federale di polizia svizzero).

Sono sorte delle polemiche riguardo la gestione delle notizie anche all’interno del paese elvetico. L’attentato si è consumato intorno alle ore 14 e la relativa conferenza stampa delle ore 19 a Bellinzona avrebbe dovuto dissipare i primi dubbi su quanto accaduto: ciò non avviene, la donna viene descritta come conosciuta dalle autorità, ma nessuno in quel momento conferma la matrice jihadista dell’azione. ATG (Associazione di categoria dei giornalisti del Canton Ticino), sempre grazie al Corriere del Ticino, diffonde questa nota: «Perché non dire alle 19 quello che è stato poi comunicato con un messaggio twitter tre ore dopo?» chiede l’ATG. «Perché si organizza una conferenza stampa su un fatto di questa gravità per poi affidare la notizia più importante ai social media? Dando per di più l’impressione di aver dovuto reagire con un messaggio di quel genere ad una presa di posizione del cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che poco prima – alle 20 e 27 – aveva condannato l’attacco islamista di Lugano». «Inoltre, a cosa è servita quella conferenza stampa se poi, al Quotidiano della RSI, quindi subito dopo, il presidente del governo ha associato la donna arrestata ai lupi solitari islamisti. Perché dire questo in diretta televisiva e non dire la stessa cosa, pochi minuti prima, in conferenza stampa?», prosegue il comunicato stampa.

La vicenda, però, assume contorni più oscuri se si decide di guardare i fatti in maniera completa. Il 7 ottobre il sito ticino.com ribatte la notizia per cui a breve sarebbe stato indetto un referendum per l’approvazione di una “legge contro il terrorismo islamico”. Il lancio del referendum è stato annunciato in una conferenza stampa a Berna da alcune sezioni giovanili dei partiti, tra cui Giovani Verdi Liberali, Giovani Verdi, Gioventù Socialista (GISO), nonché il Partito Pirata e l’associazione di hacker Chaos Computer Club Switzerland (CCC-CH). Secondo quanto riportato la legge violerebbe i diritti fondamentali e le libertà individuali. Tobias Vögeli, co-presidente dei Giovani Verdi Liberali, ha affermato che, per essere considerato un terrorista, non sarebbe più necessario pianificare o compiere un atto di terrorismo: solo sulla base di un sospetto sarebbe possibile obbligare un ipotetico reo a presentarsi a un posto di polizia a determinati orari, vietargli di lasciare il Paese confiscandogli il passaporto, confinarlo in una zona circoscritta o proibirgli l’accesso a un luogo o il contatto con determinate persone. Viene sottolineato che l’attuale formulazione della legge non offrirebbe sufficienti garanzie giuridiche. Numerose critiche da parte dei contrari alla nuova legge riguarderebbero anche le azioni preventive poste nei confronti degli adolescenti: a partire dai quindici anni i sospetti potrebbero infatti essere posti agli arresti domiciliari e si potrebbero inoltre imporre misure nei confronti di bambini a partire dai 12 anni.
Il relatore speciale dell’Onu contro la tortura – l’elvetico Nils Melzer – e altri quattro esperti indipendenti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani avevano stabilito che la nuova legge contro il terrorismo violava i diritti umani. Si tratterebbe di un pericoloso precedente per la repressione dell’opposizione politica in tutto il mondo.

A conclusione di questo mio intervento vorrei porre l’attenzione su alcuni aspetti. È giusto non riportare nei media nazionali italiani notizie riguardanti atti, seppur di lieve entità, che coinvolgono i paesi confinanti? Non credo proprio, anzi, ritengo sia fondamentale poter conoscere gli eventi e non valutarne l’importanza solo in base alla crudezza degli atti o al numero delle vittime. È corretto che uno stato decida di privare di alcune libertà i propri cittadini in nome della sicurezza pubblica? Credo sia la domanda più controversa, ma sono convinta che un popolo non debba cambiare le proprie abitudini ed usanze in nome di un possibile pericolo: ritengo sia più corretto incentivare il controllo delle persone “a rischio”; sia per quanto concerne l’attentato di Vienna sia a Lugano si sono sottovalutati i precedenti delle persone coinvolte e le autorità non hanno evidentemente saputo lavorare in chiave preventiva.

Vorrei, inoltre, ricordare ai nostri politici nazionali che i proclami social, dividere il mondo in un noi/loro non è propedeutico all’ottenimento della pace sociale. Come Ulisse rischiò di essere coinvolto dal canto delle sirene, noi dovremmo ragionare su come prevenire che le odi di una realtà terroristica affascinino le persone e non colpire solo le sirene perché, purtroppo, il loro canto verrà perpetrato da altri.