Nulla da fare. Il sostegno europeo a Kyiv arranca. La promessa di fornire un milione di proiettili di munizioni entro marzo 2024 non verrà rispettata. Finora ne sono stati consegnati tra i 300 e le 350 mila, troppo poco. Il Servizio di azione esterna diretto da Josep Borrell ha dunque informato gli stati membri che l’obiettivo non verrà raggiunto. Probabile che venga spostata la scadenza più avanti, a data ancora da stabilirsi. Le cause secondo Borrell sono diverse: colli di bottiglia nella filiera della produzione di armi, carenza di polvere da sparo, gli stock nazionali che si stanno svuotando. Tuttavia la verità è un’altra. Se non si riescono ad attuare questi piani è principalmente per una mancanza di volontà politica.
Sul tavolo di Bruxelles al quale si siederanno lunedì e martedì i ministri degli Esteri e della Difesa dell’Unione europea la guerra in Ucraina non sarà più la priorità. Prima il Medio Oriente. La sensazione, spiega un diplomatico europea al Foglio “è di fatica generale attorno all’Ucraina”. Mentre gli aiuti statunitensi rischiano di esaurirsi per l’incapacità del Congresso di approvare un nuovo pacchetto finanziario, l’Europa spreca così l’occasione di mostrarsi veramente all’altezza, incidendo autonomamente sulla situazione.
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Ma non sarà questa l’occasione. La Francia non ha firmato nessuno dei contratti quadro negoziati dall’Agenzia di difesa europea per il piano di un milione di munizioni. Intanto rimane in sospeso anche la decisione sulla proposta – fatta in primavera da Borrell – per il via libera all’ottava tranche dell’European Peace Facility da 500 milioni per finanziare le forniture militare a Kyiv. Da allora l’Ungheria blocca. Nulla importa che Kyiv abbia ceduto alla richiesta di Budapest di togliere dalla lista di organizzazioni sponsor della guerra la banca ungherese Otp che opera in Russia.
Anche la proposta di creare un fondo speciale per l’Ucraina all’interno della Peace Facility da 20 miliardi nei prossimi quattro anni rimane in sospeso. Anche in questo caso Budapest si oppone. Ma stavolta non è sola. Insieme a le Francia e Germania, la prima critica la cifra, troppo alta, la seconda preferirebbe un sostegno militare bilaterale, anche perché dovrebbe versare il 25 per cento dell’intera somma. Bruxelles è immobile, impantanata nelle mille diverse sensibilità presenti al suo interno. La sua credibilità internazionale sui conflitti rischia di diventare irrisoria. Anche il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia – annunciato da Ursula von der Leyen sabato scorso mentre era in visita a Kyiv – tarda ad arrivare. L’Appello di Mario Draghi per un’Europa diversa, più unita, in questi giorni è più veritiero che mai.