Enrico Letta è preoccupato, visibilmente preoccupato. Le giravolte grilline con minacce continue di uscire dalla maggioranza e staccare la spina al Governo Draghi mandano in fibrillazione il Nazareno dove più di un pezzo grosso del PD inizia a stancarsi di Conte e delle sue manie. Però Letta sta a guardare, nicchia, non prende posizione netta e si muove sottobanco. Tattica che per ora gli sta portando fortuna a partire dall’elezione del Presidente della Repubblica (tanto gli altri si distruggono da sé!) ma che non può durare a lungo. Urge una decisione, una presa di posizione nei confronti dell’alleato. Ci ha provato in questi giorni, Dario Franceschini ma con esiti ancora tutti da verificare e quindi rimane inalterata la domanda: per quanto tempo ancora Letta continuerà a considerare i 5 Stelle parte di quel campo largo che si sta restringendo sempre di più? Per quanto ancora si muoverà nell’ottica di non infierire sui Cinque Stelle? L’alleanza è fragile, fragilissima ed è appesa al sottile filo delle decisioni di Giuseppe Conte.
Davvero la sinistra italiana intende legarsi così tanto all’avvocato del popolo e non è in grado di mettere in campo una proposta alternativa ai populismi? Se così fosse sarebbe assai grave la cosa. Occorre decisione caro Enrico, e lo diciamo da spettatori disinteressati! O si impone una linea alla (presunta) coalizione o è bene andare a casa.
L’alleanza tra PD e Movimento, si fonda su presupposto mai dichiarato ma piuttosto evidente. Il primo avrebbe dovuto in qualche modo “parlamentarizzare” il secondo, a partire dal Governo MaZinga o giallorosso che dir si voglia. Dopo l’abbraccio sovran-populista, e il successivo strappo di Conte che lo avevano elevato a idolo della sinistra orfana di leader, Zingaretti prima e Letta poi avevano scommesso sulla capacità del PD di responsabilizzare il movimento anti-sistema così da renderlo maggiormente istituzionale. Questo il sogno che sembrava effettivamente poter funzionare visto la caratura apparentemente più moderata di Conte rispetto a un Di Battista qualsiasi. Ma l’illusione è durata poco e il fallimento risulta evidente in questi giorni. Forse non poteva essere diversamente.
D’altra parte, quando c’è bisogno di politica seria innanzi a sconvolgimenti epocali che paiono accavallarsi per un sadico e bizzarro gioco del destino, il Movimento Cinque Stelle non riesce a mostrare processi di adultizzazione politica: il PD prima o poi ne dovrà prendere atto, paradossalmente in modo del tutto indipendente da come andrà a finire questo caldo Luglio politico.
Detto in parole più semplici, come si fa a fidarsi di un alleato così inaffidabile e oscillante? Che cosa vi tiene uniti? Se a destra è la sete di potere che tiene agganciati oltre il ridicolo Berlusconi-Meloni-Salvini, a sinistra è pure peggio, perché nemmeno si comprende perché stiano insieme e, in particolare, perché Letta si ostini in tal senso. Sì, è sempre la solita storia del “non far vincere le destra”, ma non si può stare insieme solo per evitare che vinca l’avversario. Non con i grillini e non adesso!
A ciò aggiungasi che ormai i 5 Stelle hanno superato il PD da sinistra e questo getterà ulteriore confusione nel campo largo. Se guardiamo i 9 paletti posti a Draghi da Conte, possiamo osservare che molti di essi sono in linea con una sinistra vecchio stile, ai limiti del massimalismo peronista. Insomma, quello che il PD non è più da tempo immemore. E allora superato a sinistra, e incartato da una volontà di alleanza spuria che non può reggere alla prova dei fatti, per quale motivo il PD si ostina? Come conciliare il radicalismo “sindacalistico” di Conte e il riformismo democratico del Partito democratico? Mistero!
Forse il dubbio se lo sta iniziando finalmente a porre Enrico Letta che oggi ha incontrato Pizzarotti (ex sindaco di Parma e primo pentastellato a comprendere la deriva del Movimento) e che guarda con interesse a quel che avviene al centro (da Di Maio a Sala). Il grimaldello potrebbe essere la legge elettorale e la sua modifica in senso proporzionale verso cui anche il segretario PD si starebbe orientando. Questo gli consentirebbe di uscire dalle alleanze obbligate e potersi smarcare dall’ingombrante alleato.
Ma siamo alla tattica, non alla politica. Tattica giusta, intendiamoci! Noi siamo assolutamente favorevoli a una legge elettorale proporzionale che può costituire un importante punto di svolta per uscire da questo bipolarismo tanto muscolare quanto inutile (anzi dannoso). Però serve coraggio che non può esaurirsi nella tecnica elettorale di una legge proporzionale ma deve investire la politica a partire dal comprendere che il Governo Draghi tra le tante eredità che si lascia dietro, ha decretato la sostanziale morte del bipolarismo e la crisi dei politicanti nostrani e che quindi c’è bisogno di qualcosa di davvero nuovo. E la sinistra su questo è terribilmente in ritardo.