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L’Espresso langue come certa sinistra radical-chic

Da giorni l’intellighenzia radical-chic di sinistra piange la vendita del settimanale l’Espresso come si trattasse di un lutto e come un fatto di “lesa maestà”, con strazianti e ridicole geremiadi lamentando addirittura il venir meno alternativamente di una parte di storia nazionale (sic!!) e della libertà di stampa.

Reazione scomposte che danno un significato politico ad una legittima scelta imprenditoriale e si fondono in proclami di solidarietà al Direttore Damilano dimessosi nell’occasione.

A prescindere dalla curiosa attitudine di una certa sinistra di considerare una sorta di icona eterna ed intoccabile qualsiasi cosa la riguardi va detto con franchezza che il magazine delle mille battaglie (peraltro notoriamente partigiane e faziose) di cui il Paese sarebbe stato orbato aveva perso attrattiva da anni pagando scelte editoriali azzardate, le vendite ed i ricavi si erano progressivamente ridotti fino all’ultima umiliazione di trasformare la testata in un allegato alla Repubblica dalle pagine povere e scarne.

Un simbolo della decadenza di quel mondo di sinistra autoreferenziale che si immedesimava in Scalfari e nei suoi nipotini, felice ed orgogliosa di riconoscersi in quel settimanale che faceva tanto chic tenere nei salotti come segno di autentica “sinistrità colta”.

Va detto che la testata ha anche ovviamente risentito della profonda crisi del settore che ha investito negli anni anche i concorrenti Panorama ed Il Mondo, riviste storiche scomparse o ridotte ai minimi termini in favore di media più agili ed immediati, ma questo non cambia la sostanza della vicenda.

Non c’è nulla di politico in questa scelta, la semplice verità è che il tempo ha fatto giustizia anche di questo settimanale che è stato venduto perché rappresentava un buco nero finanziario, un asset improduttivo e l’editore ne ha preso atto ed ha agito di conseguenza.

“È una decisione – ha scritto Damilano – che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero, una pagina di storia del giornalismo italiano che viene voltata senza misurarne le conseguenze”. No, Direttore qui si sbaglia di grosso, perché questa è una pagina di storia che viene voltata dai lettori cui la vostra storia da tempo non interessa più.

Un giornale vale quanto i lettori che ha e l’autorevolezza di chi ci scrive, non ci sono altri parametri e l’Espresso non ne aveva più. Non entro nel merito ma come diceva l’artista Wim Kan, i giornalisti bravi non hanno una vita; quelli cattivi non hanno un lavoro.

(Nicolo Bastianini Carneluti)