L’errore di Draghi? Troppo banchiere e poco politico

Pochi forse ricordano che lo scorso dicembre Draghi sosteneva fermamente che Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina. Una posizione che oggi appare palesemente sbagliata ma che può sembrare un errore veniale, se non fosse che evidenzia il limite politico del presidente del Consiglio italiano.

L’errore di Draghi non è solo un peccato di ottimismo dal momento che la sua ferma convinzione si basa implicitamente sul preconcetto che i leader politici siano sempre e comunque intenzionati a partecipare a processi decisionali fondati sul diritto e sull’esistenza di interessi economici comuni. Il fallimento di questa previsione ci rammenta che Draghi non è un Messia infallibile: la sua concezione della politica come amministrazione guidata unicamente da interessi economici e improntata al comportamento razionale è oltremodo limitata.

L’errore di fondo del presidente del Consiglio, che non riesce a sganciarsi dalla sua formazione da economista e dal suo passato da banchiere, è quello di pensare che i processi decisionali degli Stati si basino unicamente su meccanismi di scelta razionale e sull’analisi costi-benefici. Di conseguenza, i leader nazionali sarebbero poco più che amministratori delegati. Un errore che Draghi sembra non voler ancora ammettere quando confonde l’interesse nazionale con la bilancia commerciale e insiste maldestramente per sanzioni limitate e molto prevedibilmente inefficaci per fermare il governo di Mosca.

La politica non è solo mercato e conti pubblici, ma anche e soprattutto forza militare e guida morale. La politica non è solo la ricerca di un equilibrio ottimale e massimizzazione dei profitti, ma è soprattutto l’arte di compiere scelte difficili. Avere sottovalutato Mosca rischia di costarci caro. Senza voler immaginare scenari apocalittici, dal ritorno delle Guerra Fredda all’inverno nucleare, l’invasione dell’Ucraina pone fine al mondo post-bellico consegnatoci da Ronald Reagan e ci ripiomba nel mondo instabile e multipolare di fine 1800, dove i confini e le risorse contano più delle belle parole o delle ricette mercantiliste.

Non è più il tempo del piccolo cabotaggio, dell’indecisione e della vergogna. Oggi servono nazioni forti in grado di guidare il mondo oltre i rischi e le difficoltà. Il mondo è cambiato e l’Italia, assieme all’Europa, deve decidersi a cambiare con esso.