La rivoluzione liberale contro il terreno argilloso di scelte politiche sbagliate

L’economia italiana è ferma nonostante le promesse mirabolanti del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico e la marcia baldanzosa dei sindacati confederali usciti poche ora fa da Palazzo Chigi con un accordo strappa-voti e brucia-denaro pubblico.

Che il Paese sia fermo e stia addirittura scivolando in recessione lo certificano alcuni dati dell’Istat e della Banca dItalia: la curva del Pil è inchiodata in prossimità dello zero(+0,2); quella della produzione industriale è negativa (-0,6 su base annua); le esportazioni nell’Unione europea sono ulteriormente diminuite (-4,2 su base annua) e ancora di più sono diminuite quelle in Paesi extra Ue (-8,1).

Vi è un altro dato assai interessante e poco conosciuto: il Pmi. Il Purchasing managers index segna lo stato di salute del manifatturiero, settore centrale della nostra economia: se supera 50 vuol dire che il comparto è in espansione; se resta sotto, vuol dire che ha la febbre. A dicembre l’indice è crollato a 46,2, toccando il minimo su 80 mesi.  Dopo di noi solo la Germania (43,7), ma con il minimo su due mesi. Insomma, fino a poco tempo fa il manifatturiero dei tedeschi andava molto meglio del nostro. In questa strana gara al ribasso, però, la cosa più importante è un’altra. Mentre loro, nel 2020, si potranno permettere massicci interventi di finanza pubblica, per avere fin qui accumulato un debito molto basso, così da provare a rilanciare produzione e consumi, noi non abbiamo carte da giocare perché già utilizzate tutte in politiche di bilancio scriteriate e puramente demagogiche.

La discesa del nostro Pmi, poi, fa tutt’uno con la forte flessione della produzione nel settore edilizio, con i prestiti bancari fermi, gliinvestimenti in ulteriore frenata. E poi con i consumi delle famiglie stagnanti nonostante i 30 miliardi di denaro pubblico distribuito con bonus e sussidi di ogni genere allo scopodichiarato – ma all’evidenza falso perché irraggiungibile con quegli strumenti – di incrementare i consumi interni.

La nostra economia è potenzialmente robusta, ma poggia i suoi piedi, pur vigorosi, su un terreno argilloso che la fa traballare.Terreno in larga misura coincidente con il disastroso assetto del debito, con una spesa pubblica crescente e prevalentemente improduttiva, con un sistema tributario opprimentecon una giustizia spesso inefficiente e paralizzante, una burocrazia soffocante, con infrastrutture vecchie e inadeguate, con un sistema energetico in proprio quasi inesistente, un sistema giuridico rimasto sostanzialmente fermo ai tempi dei romani, un sistema di accesso al credito tra i più chiusi fra quelli delle economie avanzate, con programmi di istruzione scolastica e universitaria ancora troppo distanti dal mondo produttivo, con investimenti in ricerca e innovazione tecnologica ridotti al lumicino; concause, tutte queste, proprio, del traballio del sistema economico e della scarsissima crescita della produttività. 

Per l’Ocse l’Italia è la penultima nell’Unione europea, seguita dalla Grecia. Nell’ultimo decennio, la nostra crescita è stata pari allo 0,30 per cento, mentre la media europea,pure anch’essa bassa rispetto a Cina e Stati Uniti, è stata dello 0,95. Quadro, questo appena tratteggiato, francamente sconsolante e, a dirla tutta, molto preoccupante.

È possibile fare qualcosa per mitigare gli effetti di questo vacillare e allentare il legame pernicioso tra i piedi vigorosi e il terreno argilloso?

Sì, è possibile. Difficile, ma possibile in maniera democratica: rovesciando col voto l’attuale assetto politico di governo per avviare una stagione di vera, autentica rivoluzione. La rivoluzione liberale! Quella che l’Italia non ha mai avuto e che oggi è l’unica, seria alternativa a una navigazione ormai senza timoniere e perfino – forse – senza più scialuppe di salvataggio.

(qui il link originale: http://www.opinione.it/economia/2020/01/20/alessandro-giovannini_economia-italia-pil-crescita-ocse-pmi-flessione-tasse-burocrazia-rivoluzione-liberale/)