Ci sono stati discussioni nei talk televisivi ed editoriali sui principali organi di informazione italiani ma, nonostante quest’anno più che mai il 25 Aprile avrebbe dovuto essere una data celebrata sotto la stessa bandiera, si è confermata, invece, divisiva. La Resistenza non è uguale per tutti e, sebbene il discorso di Mattarella sul diritto a difendersi dell’Ucraina, abbia fatto rinsavire persino il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, che ha corretto il tiro dei giorni scorsi affermando che, sì, “la resistenza armata degli ucraini è legittima”, ieri si sono visti cortei e striscioni che non si sarebbero voluti vedere. Proprio no. Uno su tutti: “Cacciare Draghi e i servi della Nato”. Manifestazioni di questo tenore le abbiamo viste a Milano, Torino, Roma e Bologna, dove sono state persino bruciate bandiere della Nato.
In un momento che richiederebbe maggiore responsabilità, i finti pacifisti diventano quindi aggressivi e mostrano assoluta mancanza di senso storico quando si scagliano contro gli Usa che, per noi, hanno versato sangue. E dispiace un sacco quando anche l’intellighenzia del Paese commette errori di valutazione sorprendenti, ostentando l’articolo 11 della Costituzione per negare qualunque legittimità all’impegno militare italiano. Ma la nostra Carta si riferisce alle guerre d’espansione non certo all’uso delle armi per proteggere l’integrità della Nazione.
Sul Riformista, Giorgio Cremaschi scrive che “il 25 aprile è festa della Liberazione, prima di tutto dalla guerra e dal fascismo. Ognuno può viverla come vuole, ma nessuno può imporre ad altri di trasformare la festa dei Partigiani in quella della Forze Armate, di stravolgere Bella Ciao nella Canzone del Piave”. E aggiunge che “il 25 aprile ci ha dato l’articolo 11 della Costituzione, il ripudio della guerra, e manifestare per quel ripudio contro i guerrafondai mi pare la migliore coerenza partigiana”.
Ora, qualche osservazione corre d’obbligo.
L’articolo 11 della Costituzione si apre con un’affermazione incontestabile: “L’Italia ripudia la guerra”. All’indomani del secondo conflitto mondiale, una delle guerre più devastanti che l’umanità abbia vissuto nella propria storia sanguinosa, che provocò sessanta milioni di morti tra vittime civili e militari, noi italiani proclamammo il ripudio totale della guerra nella speranza di una pace universale. Il ripudio della guerra è un’affermazione così netta tanto da aver convinto l’opinione pubblica, che se tra il nostro Stato e un altro dovesse insorgere una controversia, all’Italia sarebbe vietato dichiarare guerra cercando una soluzione con la diplomazia o tramite organi di giustizia internazionale come l’Onu o l’Unione Europea.
Ma se cosi fosse, non si spiegherebbe l’esistenza degli articoli 78 e 87 della Costituzione, il primo dei quali prevede che: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”; e il secondo afferma: “Il Presidente della Repubblica (…) dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”. In effetti il senso dell’articolo 11 fa riferimento al fatto che l’Italia non può dichiarare guerra ad un altro Stato, e non qualsiasi tipo di guerra, ma solo le guerre di aggressione.
Ciò significa che l’Italia potrebbe partecipare a missioni di “peacekeeping” oppure “peace-enforcement” proclamate e già iniziate da altri Stati, così come effettivamente è successo nei conflitti in Medio Oriente, nel corso dei quali il nostro paese ha partecipato, insieme agli alleati, con truppe in situazioni di vera e propria guerra.
Un altro aspetto coinvolge l’articolo 52 della Costituzione, in quanto stabilisce che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, pertanto l’Italia potrebbe dichiarare una guerra difensiva, rivolta cioè a proteggere il nostro territorio da invasioni di una nazione ostile, cosi come è accaduto per la sventurata Ucraina.
L’articolo 11 dichiara infatti l’illegittimità della sola guerra di espansione per finalità imperialistiche, giusto per ribadire il concetto ai pacifisti nostrani, che vorrebbero negare gli aiuti militari ad una nazione aggredita, quale appunto l’Ucraina, non vuol dire restare indifesi rispetto alle altrui aggressioni. Quindi l’Italia potrebbe partecipare ad un conflitto armato qualora dovessero essere messi in pericolo i propri confini o i propri principi di democrazia, e la guerra scatenata dalla Russia imperialista di Putin mette a rischio i confini e i principi democratici dell’intera Europa.
La libertà non è negoziabile e in Ucraina c’è una resistenza che difende i propri diritti di libertà: per questo è giusto e doveroso che l’Europa l’aiuti.