Il congelamento dei beni agli oligarchi russi in odore di complicità con il regime di Vladimir Putin potrebbe rivelarsi un boomerang economico per gli italiani. Questo l’allarme lanciato dalla Ragioneria di Stato a fronte delle numerose richieste dell’Agenzia del Demanio per l’ aumento di risorse da destinare alla gestione ordinaria dei beni temporaneamente sequestrati.
La norma di riferimento, il Decreto Legislativo 109/2007, varato a suo tempo come base giuridica per far fronte ai rischi di finanziamento illecito al terrorismo sembra non essere sufficiente a garantire una adeguata copertura per il caso in questione. Infatti, il Decreto considera tendenzialmente il blocco temporaneo di beni mobili o immobili di valore contenuto o di società modeste, utilizzati come forma di investimento fittizio al fine di riciclare denaro da conferire alle organizzazioni terroristiche ed economicamente non è stato sin qui un problema insostenibile per le casse dello Stato, stante i limitati costi di gestione. La norma, peraltro, prevede, anche se solo in via residuale, la possibilità di vendere questi beni.
Analogo discorso, al contrario, non è possibile estendere ai beni confiscati e congelati ai paperoni russi, perché, in questo caso, il relativo valore è estremamente elevato e, secondo i tecnici, è da escludere una applicazione estensiva della norma.
Da qui l’allarme della Ragioneria di Stato e il monitoraggio continuo della questione da parte del Comitato per la Sicurezza Finanziaria, con la necessità assoluta di trovare una soluzione che possa impedire che l’onere di manutenzione di yacht, ville e palazzi gravi sulle finanze dello Stato ancora a lungo.
I giuristi di Palazzo Chigi non avranno compito facile: si tratta di trovare una soluzione per beni di valore complessivo attuale di circa 953 milioni di euro; somma, peraltro, destinata a crescere, considerando che i sequestri vanno avanti e che l’Italia era fino a poco tempo fa una meta di investimento privilegiato per gli oligarchi russi.
Cosa fare allora?
Il Decreto 109 obbliga il custode “congelante” a restituire il bene nelle stesse condizioni in cui questo si trovava al momento del sequestro e ciò, si capisce, si traduce in un costo esorbitante per un tempo illimitato, considerando che l’onere sarebbe definitivamente assolto solo al momento di cessazione delle sanzioni. Ma, poiché Putin non sembra intenzionato a recedere dai propri propositi bellicosi in Ucraina (che, semmai, sembra voler estendere anche a danno di altri paesi sovrani), l’indeterminatezza temporale circa la durata delle sanzioni costituisce un vero e proprio problema di sostenibilità economica per le casse demaniali. Insomma, pur previsto, il diritto di ripetere dai proprietari russi gli esborsi sostenuti dallo Stato per la gestione dei beni, potrebbe rivelarsi tardivo.
Alla fine, le sanzioni che dovevano colpire il tiranno moscovita, potrebbero danneggiare molto di più noi italiani.
Giusto per fare un esempio, il Sole 24 Ore cita il caso della villa di Alisher Usmanov in Costa Smeralda, del valore di 17 milioni di euro da restituire (al momento della fine delle sanzioni), nelle medesime condizioni di quando fu sequestrata. Fare un calcolo dei costi di gestione non è agevole vista la suddetta incognita temporale, ma è piuttosto intuitivo che non si tratterà di spiccioli. Moltiplicando, poi, il ragionamento per tutti i beni confiscati, il danno (e la beffa) si rivela essere assai consistente.
Per evitare tale tragicomico effetto collaterale, il Governo sta studiando una modifica al Decreto 109/2007 nella direzione di prevedere il cosiddetto Diritto di Ritenzione. I costi si abbasserebbero e sarebbe espressamente consentita (non più solo in via residuale) la vendita o la locazione dei suddetti beni.
Si capisce come, nel primo caso, la vendita consentirebbe di rientrare subito dei costi sostenuti e di non doverne sopportare altri, mentre nel caso della locazione, quantomeno si guadagnerebbe tempo e risorse nel medio periodo. Non mancano i dubbi tecnico-giuridici anche su questa soluzione soprattutto con riferimento a rischio di ricorsi avverso un provvedimento che – soprattutto in caso di cessione – non avrebbe più valore transitorio di congelamento ma definitivo di “disposizione di un bene”.
Ma alternative credibili non sembrano profilarsi e una decisione andrà presa e pure velocemente.