“Chi protesta viene arrestato, chi fa contro-informazione multato e rischia il carcere. E ci sentiamo discriminati e odiati all’estero. La stessa parola Russia è diventata tossica in tutto il mondo”. E’ questo lo stato d’animo della Generazione Z, quella dei giovani che hanno conosciuto un solo uomo al potere fin dalla loro nascita, ma che lui, Vladimir Putin, non può ingannare con la sua propaganda. Studiano, conoscono i social, si scambiano informazioni con amici in tutto il mondo. Anche ucraini. “Dalla Russia non possiamo mandare soldi in Ucraina. Molte famiglie hanno parenti in Ucraina, ma non possono nemmeno aiutare i loro familiari”, racconta Irina (il nome è di fantasia).
Insieme a lei, ad incarnare gli ideali della nuova generazione, che nulla hanno a che fare con quelli del regime, ci sono Alla, Natasha, Volody e Armen, i quattro redattori della rivista Doxa.
Armen Aramyan è appena uscito dal tribunale Dorogomilovsky di Mosca come un uomo libero, ma sta già rischiando una nuova condanna per “discredito delle forze armate”, quando respinge educatamente ma con fermezza una televisione di regime. “Scusate non parliamo con i fascisti che lanciano un genocidio in un Paese vicino”.
I 363 giorni di arresti domiciliari sono finiti, e i quattro redattori della rivista studentesca Doxa, nemmeno cento anni in quattro, vengono accolti con gli applausi da una folla che per i parametri della repressione moscovita è oceanica, decine di persone, alcune portate subito via dalla polizia.