Se c’è una cosa chiarissima oggi dopo i ballottaggi delle elezioni amministrative è che il sovranismo è morto! Morto e sepolto. Ma non è morto e sepolto solo per l’incapacità di chi lo rappresenta: è fallito perché è intrinsecamente incapace di generare una proposta politica degna di questo nome, appetibile e idonea per governare i territori e le comunità. Il centrodestra a trazione salviniana e meloniana ha scommesso (anche per conto terzi) da anni su questa specie di melma nazionalista, retriva, oscurantista a tratti razzista e intollerante che man mano che saliva il disagio sociale, offriva delle facili scappatoie, delle apparenti vie d’uscita a problemi che però non venivano mai risolti. Il sovranismo è questo: è un’illusione che ha il fallimento nel proprio DNA. Non è politica, è semplicemente l’altra faccia dell’antipolitica grillina, solo proveniente da destra. E’ urlare perché si è incapaci di farsi comprendere! E’ creare un nemico per creare un’identità che non si ha. E, come dicevano i saggi, se non sai chi sei non puoi sapere dove vai (né tantomeno dove intendi portare il Paese).
Il sovranismo, questa nuova ideologia totalizzante (se non totalitaria) è manicheo – come ha ricordato in modo chiaro Giorgia Meloni nel discorso spagnolo – non conosce la complessità perché tende alla semplificazione. E’ un SI o un NO, è un bianco o un nero in una società governata da varie sfumature e dove la politica è chiamata alla sfida alta di coniugare una visione strategica di lungo periodo con l’urgenza di risolvere pragmaticamente problemi concreti. Urla e non dialoga, per questo fallisce!
Lo abbiam visto durante la pandemia, lo vediamo sull’immigrazione (dove sia Salvini che Meloni sono tornati a sparare a palle incatenate contro la ministra Lamorgese), lo possiamo notare chiaramente nel pacifismo peloso salviniano che cavalca a fini elettorali la paura della crisi economica e potremmo continuare all’infinito. Ecco, ieri, con gli esiti dei ballottaggi, si è consumato il de profundis di questo modo di fare politica. Certo, la coda di questa morte sarà lunga ancora – sarebbe sciocco illudersi e inclinare verso facili trionfalismi fuori luogo – ma già le reazioni scomposte del centro destra dimostrano che quella stagione è finita. La stessa vittoria di Lucca certifica lo stato di difficoltà della coalizione che per vincere deve spostarsi ancora più a destra, gettando la maschera e mostrando ciò che è realmente: un’accozzaglia di estremisti incapace di governare. No, non sarà una morte istantanea né tantomeno indolore ma il vento è cambiato:
i cittadini italiani, finalmente, hanno preso atto dell’inganno e hanno detto di NO. Non solo NO ai candidati sindaci del centro destra che ha perso sia unito che diviso, ma un NO gridato in faccia a un metodo politico che francamente ha stancato tutti. Ed è significativo che questo accada nelle città dove il rapporto tra politica e comunità territoriale è più stretto e immediato.
Da qui può partire un’onda lunga i cui effetti potranno sentirsi anche nel 2023 con le elezioni politiche rimettendo in gioco risultati che molti, troppi danno per scontati. Non staremo qui a dire “Ve l’avevamo detto!”, non staremo a ripetere ancora una volta come la grande scommessa della Buona Destra si è fondata, fin da principio, proprio sull’aver intuito che il vicolo cieco imboccato dalla destra italiana sotto la guida Meloni-Salvini avrebbe condotto a una sconfitta cocente. Non ripeteremo nemmeno che la destra di cui ha bisogno questo paese è altra cosa e che dobbiamo impegnarci quotidianamente a costruirla perché esiste tutta una fetta di popolazione che non si sente rappresentata e si rifugia nell’astensionismo. Diremo soltanto che il fallimento del sovranismo di matrice bannoniana, chiarisce come oggi più che mai sia il momento della Buona Destra. E’ il momento di spiccare il volo, di prende il largo, di metterci più impegno e ancora maggiore dedizione, consapevoli della difficoltà del viaggio ma ancor più convinti della sua bontà e della sua necessità per il bene del Paese. Questo ci insegnano le elezioni amministrative al di là della contingenza politica e dovremo esser bravi a raccogliere la sfida.
Un modello è morto e noi dobbiamo essere i protagonisti di un modello diverso e alternativo tanto a quello fallito quanto a quello delle sinistre, anch’esse troppo frettolose nel gioire, e ancora inesorabilmente incistate sul presente, come (loro) dimensione strutturale dell’agire politico.
Noi siamo diversi tanto dall’una quanto dall’altra. Siamo la Buona Destra!