Il salario minimo prigioniero degli opposti populismi e del benaltrismo

Mentre l’Unione Europa è in dirittura d’arrivo per l’emanazione di una direttiva sul salario minimo che possa garantire ai lavoratori condizioni di vita dignitose, i populisti di ambo i lati dello schieramento parlamentare reagiscono in modo del tutto privo di senso e polarizzato. I populisti di sinistra salutano l’evento con entusiastiche grida di trionfo (come se l’iniziativa europea fosse merito loro), facendo a gara a intestarsi una questione, quella della tutela delle condizioni del lavoro, che dovrebbe essere principio di civiltà per tutti e non appannaggio di una parte. Il populismo di destra – ben incarnato da Giorgia Meloni – declassa invece il tema come non prioritario, rifugiandosi nel benaltrismo più spinto.

Ospite al Salone internazionale del Mobile, la leader di Fratelli d’Italia glissa e fa capire che i problemi dei lavoratori sono ben altri. Testualmente sostiene che “Rischiamo di fare un dibattito sul tema del lavoro che è di nicchia. Il salario minimo per carità, è interessante, però si rivolge ad una platea di lavoratori che in Italia sono già coperti da un contratto nazionale. Se c’è un contratto nazionale, c’è un salario minimo. Non vorrei che questo fosse un obiettivo per non affrontare una seria di problemi sulle discriminazioni dei lavoratori in Italia”. Poche righe per dire niente. Intanto è ovvio che si sta parlando di lavoratori coperti da contratto nazionale, ma occorre fare presente che il numero di questi non è proprio trascurabile e che conseguentemente una maggior tutela e un maggior riconoscimento economico in loro favore non è proprio una questione di “nicchia”, o quantomeno si tratta di una nicchia piuttosto ampia.

Aggiungasi pure che il complottismo lavoristico (Non vorrei che.. ecce cc.), come sempre enuncia tesi senza fornire alcuna prova a riguardo (ma questo non sarebbe niente di che), e soprattutto rischia di mettere in opposizione due problematiche che non sono affatto contrapposte. In altre parole, la miglior condizione di vita dal punto di vista della retribuzione dei lavoratori coperti da CCNL , non impedisce di porre mano anche alle discriminazioni nel mondo del lavoro cui la Meloni fa riferimento.

Incidentalmente, da notare che non pare di ricordare proposte rivoluzionarie di Fratelli d’Italia per per far fronte alle lamentate discriminazioni, ma magari è un problema di memoria di chi scrive.
In ogni caso, pensare che affrontare seriamente il primo tema per occultare il secondo, dimostra scarsa dimestichezza con la materia e, soprattutto, un pregiudizio antieuropeo del tutto infondato al quale evidentemente Donna Giorgia proprio non sa rinunciare. E’ più forte di lei, quasi un riflesso pavloviano. Quando si pare di Unione Europea, la presidente di Fratelli D’Italia, ci deve vedere per forza un sordido retropensiero e una congiura a danno di qualcuno. Un ripasso di Ockham e del suo rasoio, potrebbe giovare in questi casi. La soluzione più semplice spesso è quella più efficace, in sintesi. Invero, nessun complotto, semplicemente un ordine di trattazione dei problemi. Quindi, a nostro avviso, ben venga la Direttiva comunitaria che indichi la cornice di riferimento entro cui il Governo nazionale dovrà poi legiferare dando contenuto specifico e concreto ai principi ivi esposti.

Semmai, e per tornare, invece al populismo di sinistra che saluta l’evento come la panacea di tutti i mali del mondo del lavoro, occorre aprire una seria riflessione sul modo in cui lo Stato nazionale recepirà la Direttiva. Questo perché evidentemente, se il salario minimo auspicabilmente porterà maggior peso nelle tasche dei lavoratori dipendenti è pur vero che le imprese dovranno essere messe in condizioni di sostenerne i relativi oneri. Perciò, quando anche il Ministro Orlando – che pure è persona seria – dichiara di procedere prima al salario minimo e poi all’abbattimento del cuneo fiscale, dimostra una non indifferente dose di confusione.

In mancanza di seri interventi atti a diminuire il costo del lavoro tramite la rivisitazione di quelle voci che intercorrono tra il lordo e il netto in busta paga, e senza una politica importante a sostegno delle aziende, si rischia di mettere queste ultime in seria difficoltà, in particolar modo quelle piccole che, come detto, potrebbero non avere le risorse per far fronte agli auspicati aumenti salariali.Tutto ciò in una condizione economica generale non proprio semplice, e che potrebbe generare un effetto boomerang poco piacevole per tutti.

Infine, una nota particolare che riguarda il nostro Paese in modo specifico. Bisogna considerare la complessità e multiformità del nostro comparto produttivo, sia per estrema diversità di settori e dimensioni, sia dal punto di vista geografico (fare impresa a Nord, è diverso da farlo al Centro e ancor più diverso dal farlo al Sud). Pertanto, pur attendendo le norme nazionali di recepimento, auspichiamo che tali norme siano integrate attraverso una seria opera di contrattazione territoriale, possibilmente senza guerre ideologiche tra sindacati e associazioni di categoria.

Ci sono ancora due anni e, variabile non da poco, in questo lasso di tempo rinnoveremo il parlamento, avremo probabilmente un’altra maggioranza e un altro Governo. Non ci resta che sperare che siano all’altezza di questa sfida importante.