di Andrea Molle
Pur costituendo una innegabile tragedia, la pandemia è forse l’ultima occasione per ricreare delle basi per una dialettica democratica finalmente sana. La prima lezione che dovremmo imparare è che le opinioni, anche quando basate su fatti concreti, non sono tutte uguali e che soprattutto non sono ugualmente valide al fine di prendere importanti e dolorose decisioni di salute pubblica.
Ciò che in teoria appare come un’ovvietà è palesemente negato dai fatti. In questi mesi abbiamo assistito a una varietà di casi, dall’onnipresente laureato all’Università della Stada che pontifica sulla summa dello scibile umano, all’astrofisico che pretende di essere esperto di epidemie, al virologo che si improvvisa economista mentre quest’ultimo pretende di avere l’ultima parola sulle politiche da adottare per contenere gli effetti nefasti del COVID-19 solo perchè, a suo dire, tutto gira attorno al mercato. Abbiamo anche imparato, o almeno avremmo dovuto, che nella confusione creata da opinioni così diverse sia difficile resistere alla tentazione di imporre la propria, soprattutto quando si ha il potere di farlo a colpi di decreti, o ammantandosi dell’autorità che deriva dalla scienza. Ma più di tutto, dovremmo imparare che il populismo ha un limite oggettivo, invalicabile, nella gestione delle emergenze.
I fatti di Napoli e Roma, gli ultimi di una lunga serie di espressioni del malcontento e dell’esasperazione popolare che sono destinati ad aggravarsi, ci insegnano infatti che indipendentemente dai mandanti politici o dalle infiltrazioni criminali il popolo non ha sempre ragione e che dalla somma degli sfrenati egoismi individuali non emerge mai il bene collettivo.
A furia di coccolare le peggiori tendenze del popolo, in un clima di perenne campagna elettorale, Meloni e Salvini sono oggi palesemente a disagio. Il loro silenzio e l’incapacità di offrire soluzioni nascondono il fatto che i due leader della destra italiana hanno perduto ogni capacità di guidare le masse e hanno finito per farsi guidare dal mostro che loro stessi hanno creato.
La politica non deve certo imporre la propria volontà, ma adempiere al compito stesso per cui è nata e cioè quello di guidare il popolo, educare gli individui al rispetto delle necessità collettive, risolvere gli inevitabili conflitti e le ovvie esternalità derivate dalla presenza di interessi contrastanti. Una politica che, specialmente a destra, dovrebbe liberarsi del fantasma delle masse amorfe e urlanti e ispirarsi a valori di libertà, prima di tutto individuale, ma anche di pacata promozione dell’ordine sociale, che rende possibile la convivenza e il progresso culturale del Paese.
Con l’ipotesi, sempre più concreta, di un nuovo lockdown nazionale che avrà effetti devastanti sul paese è necessario che la politica ritrovi la sua dimensione originaria di “arte del governare”. Oggi più che mai non c’è spazio per una politica che si limita a vincere le elezioni e non c’è spazio per i populisti.