Il peso delle parole. Hamas non è resistenza, ma terrorismo

Non è terrorismo, ma resistenza. Questo il messaggio che passa ascoltando i filopalestinesi scesi nelle piazze a manifestare in difesa dello spregevole assalto di Hamas in Israele. Poca importa che più di 1.500 terrostiti entrati in Israele, come mostrato da video girati dagli stessi jihadisti e riportato da tutte le fonti più attendibili, massacrato donne, bambini e anziani in più di venti villaggi israeliani. Poca importa che abbiano preso in ostaggio molti di quest’ultimi, mostrando una ferocia che poche volte si era vista nella storia. In Occidente si scende in piazza in difesa della “resistenza”, perché il dogma ideologico dell’oppresso e dell’oppressore non può essere scosso in alcun modo. E cosa conta la brutalità di Hamas se viene vista solo e semplicemente come reazione alla “pulizia etnica” perperata da Israele nei confronti dei palestinesi presenti nella Striscia di Gaza. Sì, perché per i filopalestinesi duri e puri di questo si tratta. Una pulizia etnica.

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Certo che se così fosse bisogna anche ammettere che Israele è il paese meno efficiente che la storia abbia mai visto sotto questo punto di vista. Nei territori palestinesi nel 1947 vivevano sotto mandato britannico 740.000 persone. Oggi ce ne sono più di cinque milioni. Non un gran risultato. Ma di questi termini d’altronde si nutre, e nutre a sua volta, la società dello spettacolo, aggrappata al mito del debole che si ribella. A quel punto poi poca importa quale sia la realtà dei fatti. Ecco la responsabilità di commentatori tv, intellettuali e accademici nella scelta delle parole. Parole sbagliate, malate, che non sembra possano guarire.