Il vizio della destra italiana è sempre lo stesso: mai disfarsi di nulla della propria storia, dei propri errori e dei propri orrori. Quello che da sinistra non si capisce (o non si vuole capire) è che questo atteggiamento accumulatore non rappresenta una questione ideologica, bensì un legame tribale tra antichi sodali, un rapporto malato con tutto il passato che impedisce vere svolte, veri passi avanti. Da qui nascono gli infingimenti, l’ossessione per il revisionismo storico, le parole non dette e quelle mal dette.
Siamo chiari, l’affaire Marcello De Angelis sulla Strage di Bologna e le tesi innocentiste non può essere ridotto a una questione personale o di minore rilevanza politica. È esattamente il contrario. Perché De Angelis è la punta di un iceberg fatto di legami di fedeltà che affondano le radici in un ghetto che rimane dentro, attaccato come un cancro psicologico. Basti pensare che nel 2020 la moderata fondazione Farefuturo di Adolfo Urso ospitò il convegno “Strage di Bologna. La verità oltre il segreto”. L’attuale sottosegretaria all’Istruzione, Paola Frassinetti, annunciava l’evento sui social in questo modo: «Dopo 40 anni di menzogne… perché nessuno di noi era a Bologna». Il convegno fu trasmesso in streaming – era l’anno della pandemia – sulla pagina Facebook di «Farefuturo», di cui Adolfo Urso è presidente e che era fra i primi relatori. Al suo fianco Federico Mollicone, oggi presidente della Commissione Cultura della Camera, e la stessa Paola Frassinetti.
Non solo Marcello De Angelis, quindi. E, va sottolineato, non solo la Strage di Bologna. Per questo motivo, la premier Giorgia Meloni non può ignorare tutto questo. È culturalmente coinvolta. Paradossalmente, De Angelis ha avuto il merito di rivelare una verità che, per ragioni non del tutto chiare, molti cercano di nascondere. E non solo nel cerchio ristretto della destra postfascista. Quello che conta di più, quello che dovrebbe avere maggiore impatto, nel post di Paola Frassinetti, è quel “noi” gridato a squarciagola e senza ritegno. Un “noi” che include una tribù umana, quasi una famiglia, che evidentemente si estende da Valerio Fioravanti a Giorgia Meloni in un continuum comunitario che non può non essere definito inquietante in una democrazia moderna e liberale. Quindi si possono meglio capire quelle ossessioni che troppo spesso passano inosservate alla maggior parte delle persone. Tra queste, solo per fare un esempio, l’ossessione per una pacificazione nazionale che diventa un ritornello retorico che ancora oggi sottende l’identificazione della destra meloniana con la storia del fascismo e del neofascismo. Una storia che, va sottolineato, non ha nulla di ideale e tutto di familistico. Che forse è peggio.