Salvini

Il dietrofront di Salvini conferma che non abbiamo più bisogno di leader populisti

Meglio un minuto prima, che un minuto dopo. Questo vale per i matrimoni, non per la politica. Dopo aver esposto l’esecutivo e la Farnesina al ridicolo con la sua inopportuna iniziativa di volare a Mosca, Matteo Salvini ha deciso di invertire la rotta. Troppo tardi, chi si è ricoperto di ridicolo però con tutta questa storia è stato soltanto lui. Non certo il nostro presidente del consiglio. Mario Draghi, ancora una volta, armato di “santa pazienza”, non si è lasciato prendere dalla collera e in conferenza stampa, con il solito aplomb, aveva detto in merito al viaggio del segretario del Carroccio: «La posizione del governo non cambia. È da sempre allineato con Ue e G7 e nel rapporto storico transatlantico, non si sposterà». 

Arrampicandosi sugli specchi Matteo Salvini aveva risposto a distanza che tutti erano a conoscenza del suo tentativo per «cercare la pace»: «L’ho detto da Vespa. Il piano che avrei presentato era: cessate il fuoco, apertura canali per il grano e ritorno al dialogo in campo neutro. Mi stupiscono tanti colleghi. Putin? Non lo sento da anni, in Russia avrei incontrato il ministro degli Esteri, Lavrov», aveva dichiarato alla stampa.

Beh, ora è ufficiale: il viaggio che aveva in mente il leghista, organizzato con il nuovo consulente Antonio Capuano, non si farà più: in un’intervista di oggi sul «Messaggero Veneto», l’ex ministro dell’Interno ha annunciato di avere rinunciato ad andare in Russia a proporsi come intermediario per un accordo tra le due parti. «Preso atto delle reazioni scomposte dei colleghi di governo, mi sono confrontato con i vertici della Lega e abbiamo convenuto di imboccare altre strade», le sue parole. Soltanto qualche ora prima Salvini aveva detto durante un appuntamento elettorale: «Mi hanno insultato per giorni perché lavoravo per la pace. Se devi chiedere la pace a chi lo chiedi? A chi la guerra l’ha iniziata. E se i russi non vogliono parlare con Di Maio è mio dovere parlare con chiunque per aiutare a fermare la guerra». E ancora: «Una volta la sinistra voleva la pace, ora il Pd è guerrafondaio e critica chi costruisce la pace e parla solo di armi e guerra. Serve la pace adesso perchè se la guerra va avanti avremo milioni di italiani alla fame e senza lavoro. Se ci fosse un ministro degli Esteri che fa pienamente il suo dovere non avrei bisogno di muovermi io per andare a cercare contatti all’estero», l’affondo del segretario della Lega. Giravolte su giravolte.

Una posizione quella del leader della Lega che francamente non poteva non innescare una serie di interrogativi: se la pensa così perché Salvini sta ancora al governo Draghi? Per quale ragione ha votato la risoluzione che autorizza l’invio delle armi in Ucraina? Come ha potuto votare il decreto con il quale si è deciso di inviare materiale militare a Kiev, confermando l’impegno del nostro Paese nella Nato? Domande che il dietrofront di stamani non spazza affatto via.

L’imbarazzo resta eccome: anche perché non si capisce per quale motivo un leader nazionale senza incarichi di governo si sia sentito in dovere di organizzare una visita in Russia e si si sia proposto come mediatore. Bypassando la Farnesina, infischiandosene del lavoro svolto dal premier Draghi, che è stato uno dei pochi governanti del continente ad aver adoperato parole chiare, dure, senza possibilità di equivoci, sul conflitto in Ucraina. Senza contare poi che la storia politica di Matteo Salvini non lo rendeva certamente l’intermediario più indicato per mettere fine alle ostilità tra Mosca e Kiev. La vicinanza della Lega al Cremlino è cosa nota a tutti.

Possibile che Salvini non si sia reso conto che la sua iniziativa ha seriamente esposto il nostro Paese ad una gogna mediatica senza precedenti? Un danno enorme per la pace, un attentato alla reputazione dell’Italia, che ha rischiato in questi ultimi giorni di passare per uno stato poco affidabile. E per che cosa poi? Per la spinta di un singolo, che continua a strizzare l’occhio ai sondaggi e sembra avere a cuore soltanto che i like crescano. Non ha fiducia in Draghi?

Salvini oggi è tornato indietro, siamo d’accordo, ma la sua iniziativa estemporanea ai limiti del comico (ci sarebbe sul serio da ridere, se non ci fosse una guerra in corso con migliaia di vittime) resta. E conferma che non abbiamo bisogno di leader populisti. La politica estera non è un gioco; la guerra non è come andare al luna-park. L’ha scritto Ernesto Galli della Loggia nel suo ultimo editoriale sul «Corriere della Sera»: «La guerra è un’infallibile cartina al tornasole. In un modo o nell’altro essa infatti, mettendo in gioco gli interessi primari, gli interessi vitali di una collettività, comunque quelli che essa considera tali, fa emergere la sua realtà profonda. È allora dunque che si vede di che cosa essa è fatta, quali sono i suoi tratti costitutivi e i suoi principi, quali stati d’animo governino i suoi cittadini».