Il centrodestra diviso su tutto ma unito dalla sete di potere

Il centro destra di (futuro?) governo non è una cosa seria, a dispetto delle apparenze e dei sondaggi che lo fanno volare vento in poppa verso mirabolanti mete e obiettivi. E non è una cosa seria – però al contempo da prendere sul serio – perché quella coalizione non esiste in natura. E’ un’alchimia politica consunta e logorata che si tiene insieme soltanto grazie alla sete di potere. Il 2023 si avvicina, i sondaggi li danno stravincenti e la Meloni gongola tanto che si può permettere comizi estremisti senza timore di ricadute (salvo poi far la solita vittima in Patria quando qualcuno la accusa di essere un po’… troppo a destra). Come le iene sul leone morente stanno tutti in branco in attesa di spartirsi la torta.

Ma le iene rimarranno iene e il leone rimarrà leone. Non esiste sondaggio o vittoria che può trasformare le une nell’altro. E il branco, finito il pasto, tornerà a sbranarsi vicendevolmente, come già infatti stanno facendo da almeno cinque anni lorsignori.

La coalizione di centrodestra, sedicente unito, già litiga su tutto e non da ora. Hanno iniziato nel 2018 quando Salvini fu colto dall’improvvisa folgorazione per Luigi Di Maio e convolarono a nozze sotto l’egida del Conte I (con tanto di bacio immortalato nel celebre murales), mentre Forza Italia e Fratelli d’Italia rimasero all’opposizione. Si dichiaravano uniti ma erano divisi. E’ riaccaduto con il Governo Draghi, dove Fratelli d’Italia è rimasto all’opposizione di una maggioranza di unità (quasi) nazionale che include Forza Italia e Lega. Gli ultimi appuntamenti elettorali sia in chiave amministrativa che referendaria hanno ancora una volta visto il centrodestra diviso, in una lotta palese per la leadership tra Salvini e Meloni che sta facendo implodere tutto il rassemblement. In autunno 2021 la guerra fratricida ha consegnato la vittoria alle amministrative al centrosinistra, nelle ultime del 12 giugno la Meloni ha staccato Salvini con tanto di doppiaggio al nord e ne ha azzoppato definitivamente ogni velleità da capobranco.
Si sa, le iene sono iene, e non c’è fedeltà che tenga.

In tutto questo, Forza Italia non è pervenuta, o meglio, si è ritrovata colpevolmente sempre più schiacciata sull’estremismo di destra (il caso Lucca è imbarazzante per i vertici azzurri, nonostante ogni minimizzazione dei responsabili territoriali), e le timide proteste di Carfagna, Gelmini o Brunetta sono ben poca cosa rispetto allo stato di agonia del partito che solo il suo fondatore si ostina a non vedere.

In tutto ciò, spicca la carenza di contenuti! Nella lotta per l’identità e per diventare il “Capo”, condotta fino all’estremo, quel che manca è proprio la politica e la capacità di sintetizzare vision e pragmaticità per disegnare l’Italia dei prossimi cinque anni. Probabilmente non avendo né vision né strategia, il compito è davvero troppo arduo per loro, ma chi ne farà le spese sarà proprio la comunità nazionale.

Stando a quanto dice Meloni, dal 26 giugno dovrebbe partire un tavolo programmatico per ricucire con gli alleati e concentrarsi sul programma elettorale per il 2023, ma non dimentichiamo le elezioni regionali, dove in Sicilia con Musumeci si sta consumando l’ennesimo scontro tribale nel centrodestra. Questione peraltro talmente importante che rischia di compromettere a catena pure le altre candidature, ad esempio in Lazio e in Lombardia, dove il gioco dei dispetti reciproci potrebbe costare il posto ad Attilio Fontana.

Insomma una babele tra i partiti di centrodestra e all’interno degli stessi che fa pensare più a un Vietnam interno che non all’epica conquista di Troia di omerica memoria.
La Lega è il caso più eclatante con Giorgetti, Zaia e Fedriga che aspettano solo l’occasione giusta per silurare il Kapitano, ma anche in Forza Italia le cose non stanno messe meglio con l’ostilità Gelmini-Ronzulli.

In Fratelli d’Italia, mancando l’area moderata il problema non sussiste essendo Meloni incaricata di rappresentare, a seconda dell’umore, tanto la soft-centrista quanto la versione hard-estremista. E mentre ci apprestiamo al prossimo futuro “umorale”, viste le sfide che il nostro Paese dovrà combattere sul piano economico e sul piano internazionale (sperando di esserci messi alle spalle quello sanitario, ma chissà), francamente c’è davvero di che essere preoccupati. E nemmeno poco.