Guerra tra palestinesi e israeliani: quegli estremismi che impediscono la pace

di Marco Mensi

“Spara, sono già morto” è il titolo di un bel libro di Julia Navarro che racconta sotto forma di romanzo la storia del conflitto arabo/israeliano spiegando in modo chiaro e semplice le ragioni di tanto odio. Una lettura che consiglio a tutti coloro che si schierano senza pensarci troppo solo dalla parte dei palestinesi o solo dalla parte degli israeliani.

All’ inizio del ventesimo secolo la Palestina era infatti una provincia dell’Impero Ottomano e i suoi terreni appartenevano ai notabili ottomani che vivevano nella capitale Costantinopoli, mentre i cosiddetti palestinesi di religione musulmana lavoravano come loro affittuari e mezzadri. Dopo la dichiarazione Balfour nel 1917, nella quale il ministro degli Esteri britannico si dichiarava favorevole alla nascita di una sede ebraica in Palestina, iniziò una forte emigrazione verso il paese da parte di ebrei europei che fuggivano dai pogrom russi e dal generale antisemitismo che imperversava nel vecchio continente.

Ebbene questi europei comprarono i terreni direttamente dai proprietari che vivevano nell’odierna Turchia e confermarono in alcuni casi i palestinesi come loro affittuari. Sempre gli immigrati ebrei fondarono poi la città di Tel Aviv, la prima esclusivamente ebraica della Palestina. La decisione dell’ONU dopo la seconda guerra mondiale di dividere la Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico, è la causa di un conflitto che si protrae da ormai settantacinque anni.

Ma arriviamo alle tristi vicende delle ultime settimane, quando con tutta evidenza è risultato chiaro quanto “la nuova guerra” tra palestinesi e israeliani sia dovuta agli interessi politici dei due contendenti che hanno strumentalizzato lo scontro sulla Spianata delle Moschee tra arabi e polizia israeliana e la vicenda dello sfratto da Gerusalemme Est delle famiglie palestinesi che lì abitavano da parecchi anni. Da una parte Hamas che governa la Striscia di Gaza dal 2006 e che, lanciando i missili contro il
territorio di Israele, vuole legittimarsi come unico leader della Palestina, mandando un chiaro messaggio ad Abu Mazen e al partito Al Fatah (quello di Arafat….), che invece controllano ancora la Cisgiordania e che non indicono più elezioni da quindici anni perché sanno che queste verrebbero largamente vinte proprio dai rivali di Hamas. In poche parole si attacca un nemico esterno per sconfiggere un avversario interno.

Dall’ altra parte c’è invece un paese che è andato al voto quattro volte in due anni e che non riesce a trovare una leadership forte, Netanyau è rimasto provvisoriamente capo del governo sebbene sia inquisito per corruzione e abuso di ufficio senza più avere una vera maggioranza. E non è certamente un caso se il premier israeliano ha risposto con la violenza e con i missili per distogliere l’ opinione pubblica dai suoi problemi con la giustizia e per andare incontro alla destra radicale che potrebbe aiutarlo a formare un nuovo governo. Ma così non è stato e nello Stato di Israele dovrebbe nascere un governo guidato dal leader dell’opposizione.

Ora pare che sia stato raggiunto un accordo per interrompere le ostilità ma non troviamo giusto che le fazioni più estremiste dei due contendenti tengano in ostaggio la maggioranza dei palestinesi e degli israeliani che vogliono solo vivere in pace. Parlare oggi di due Stati per risolvere il problema sembra molto difficile, forse è più realistico tornare all’ idea di un unico stato bi/nazionale dove entrambi i popoli devono cercare di vivere in modo pacifico, ma probabilmente è chiedere troppo…