La visita a Mosca del premier israeliano Naftali Bennett fa sperare ad un possibile ruolo centrale di mediazione dello stato ebraico per trovare una soluzione al conflitto.
Israele, in tale contesto, ha molte carte da giocare. Non ha solo mantenuto fino ad ora una posizione sostanzialmente neutrale, ma può anche contare su una fitta e proficua rete di rapporti sia con l’Ucraina che con la Russia, dovuti alla grande immigrazione di ebrei da entrambi i paesi. Solo in Ucraina, infatti, vive una comunità di 50mila ebrei, tra cui lo stesso presidente Volodymyr Zelensky, mentre negli anni Mosca ha assunto anche il ruolo di power broker in Medio Oriente.
Le premesse ci sono, ma parliamo certamente di un equilibrio molto delicato, nel quale si intrecciano questioni e problemi di ordine politico ma anche religioso, essendo l’Ucraina sede di luoghi fondamentali per la componente haredi (ultraortodossa) dell’ebraismo. Oltretutto Israele, ponte tra Oriente e Occidente, è anche abituato a correre rischi diplomatici, con una politica forte in cui la deterrenza militare non è un tabu.
Speriamo di poter tornare a scrivere presto del viaggio di Bennett come un passo nella direzione del riappacificamento tra due mondi che oggi appaiono instradati verso una lunga stagione di tensione. La missione di Bennett,, inoltre, avviene durante lo shabbat, un segnale importantissimo che sottolinea l’affermazione del principio ebraico del pikuach nefesh: la preservazione di vite umane ha la precedenza su qualunque obbligo religioso.
Infine, non possiamo perdere l’occasione per sottolineare come chi ha da sempre osteggiato la stessa esistenza dello stato ebraico, ritenendolo l’incarnazione del male, dovrebbe fare ammenda e molto velocemente.