Gli insulti social contro Alessia sono il simbolo di una società che ha smarrito cuore e cervello

“Che c’è andata a fare in Iran?”.

“Te la sei cercata”. “Adesso ci tocca pagare per liberarla”. “Un’altra cretina che pensa di fare lì quello che fa in Italia, ovvero ciò che vuole”. “Ti metti in situazioni pericolose e poi frigni”. Sono solo alcuni degli attacchi social indirizzati ad Alessia Piperno, la viaggiatrice trentenne romana arrestata alcuni giorni fa in Iran, “rea” di aver festeggiato il suo compleanno.

La ragazza è riuscita a chiedere aiuto al padre con una telefonata, ma di lei non si hanno notizie da giorni. La Farnesina è al lavoro per riportare a casa la blogger e viaggiatrice solitaria, ma evidentemente la condizione difficile di Alessia non impietosisce gli hater della rete. Che si sono scagliati contro di lei, non paghi della detenzione della giovane in una prigione iraniana.

Alessia, arrivata a Teheran prima che esplodessero le proteste di piazza dopo la morte di Masha Amini, uccisa dalla polizia morale perché indossava male il velo, è risultata bersaglio di invettive e rimproveri paternalistici per essersi recata in viaggio in un paese illiberale e antidemocratico come l’Iran, ma anche di veri e propri messaggi di odio e di livore sessista.

Come accaduto per Silvia Romano o Simona Pari e Simona Torretta, rapite anni fa dagli estremisti mentre prestavano assistenza volontaria in Kenya e in Iraq, e poi rilasciate dopo il riscatto pagato dal governo italiano, la gogna social non ha risparmiato Alessia, “che si è andata a cacciare nei guai e ora chiede aiuto”, che “non è stata al suo posto”. Perché secondo i geni della rete, le donne soprattutto devono stare “al loro posto”.

Da vittima, quindi, Alessia Piperno è diventata corresponsabile di quanto le è accaduto in Iran. E quindi ora deve sbrigarsela da sola. È la stessa mentalità della minigonna che colpevolizza una donna vittima di stupro, che “se la è andata a cercare” perché andava in giro con indumenti succinti.

Perché giudicare, sputare odio, invece di solidarizzare, di provare pietà per chi sta vivendo una difficoltà sembra diventato normale oggi, in una società dell’approssimazione dove la pancia ha sostituito cuore e cervello.