Giustiziata dai soldati russi con un colpo di pistola alla testa la traghettatrice di anime salve

Non pensava di essere invincibile, ma era certa che fosse il suo dovere.
Dzhanna Kaminieva aveva 26 anni, il marito a combattere al fronte e due figli piccoli; e aveva fatto sua la missione di portare in salvo le persone dalla violenta aggressione dell’armata russa a Bucha con il furgone. Ma non aveva fatto i conti con un destino segnato dagli eventi: Dzhanna è morta e il suo corpo è stato rinvenuto diversi giorni dopo la sua scomparsa.

L’ultima volta che è stata vista viva era corsa col suo furgone in Vokzalna ulica, in via della Stazione, per salvare da morte certa una coppia di anziani finiti sotto il tiro dei russi, agitati come non mai: “Non dimenticherò mai quella telefonata, è stata l’ultima volta che ho parlato con lei. Era un pomeriggio e ho ricevuto la chiamata di Dzhanna. Mi avvisava che c’era un’emergenza in corso a Bucha, i soldati russi stavano cercando le persone casa per casa e dentro quelle abitazioni di Vokzalna ulica c’erano degli anziani. Nel giro di pochi minuti sarebbe arrivata al nostro centro di accoglienza dove prenderci cura di queste persone. Il furgone di Dzhanna non è mai arrivato qui”. A parlare è Andreij Rushov, direttore del Bible Center, la struttura religiosa alle porte di Irpin, meta finale o intermedia per i civili in fuga dagli orrori delle due cittadine alle porte di Kiev un tempo ridenti e improvvisamente, dalla fine dello scorso febbraio, sacrificate all’odio dell’esercito occupante: “Di Dzhanna non avevo mai sentito parlare – racconta Andreij – l’ho conosciuta quando è iniziata la guerra. Un giorno è arrivata qui col suo furgone, dentro c’erano persone che aveva letteralmente strappato dalle loro case prima che fossero abbattute. Era una forza della natura Dhzanna, aveva una grinta incredibile e il sorriso sempre presente. La sua vita dall’inizio dell’occupazione russa si è focalizzata nel salvare le persone. Sapeva di rischiare, ma non le importava, aveva una missione lei. Non ho mai visto nessuno col suo coraggio”. La commozione di Andreij è tanta ed è costretto ad interrompere il discorso.
Denis, il figlio 19enne, prosegue il racconto: “Sappiamo che durante il suo ultimo viaggio è stata fermata da una pattuglia di soldati russi e portata via assieme alle persone che aveva già recuperato in altre case, una mezza dozzina. Di lei non si è più saputo nulla fino a due settimane fa, quando le autorità locali hanno reso noto il ritrovamento del suo corpo: le hanno sparato in testa. Lei è stata davvero un’eroina”.