Conte, Salvini e quel populismo opportunista sull’Ucraina. Ma il vero bersaglio è Draghi

La linea filo putiniana mascherata da finto pacifismo è la stessa, ma Giuseppe Conte e Matteo Salvini la tracciano ognuno a propria convenienza, sebbene il risultato (e il fine) sia identico. La richiesta a Draghi di riferire in Parlamento sulle armi all’Ucraina, gli slogan dal sapore sinistro “nè con la Russia nè con la Nato”, l’opposizione interna al governo: Lega e M5S stanno riportando in auge quel populismo estremista tanto in voga nel secolo scorso. Ma più subdolo e anche più difficile da estirpare, perché fortemente opportunista.

Non si spiegherebbero in altri modi le giravolte soprattutto di Salvini che, citando contemporaneamente Papa Francesco e Donald Trump, prima ha votato a favore delle armi all’Ucraina e adesso invece frena, sostenendo che armare un popolo che si deve difendere oggi rischia di creare un nuovo Afghanistan domani. Come se gli ucraini fossero talebani e non gente che resiste all’invasione di Putin. Come se pace e resa incondizionata fossero concetti equivalenti. Pensare al “dopo”, inoltre, è assai ridicolo, perché se non si sostiene la resistenza degli ucraini “dopo” non ci sarà più l’Ucraina”. Ma questo ovviamente Salvini omette di dirlo.

L’obiettivo di entrambi, ma più palesemente di Conte, è quello di logorare dall’interno la maggioranza Draghi. È palese quando, nonostante le Camere abbiano dato a marzo l’ok al Governo di inviare armi all’Ucraina fino a fine marzo, oggi l’avvocato del popolo invochi “la democrazia parlamentare” e chieda al premier se noi italiani siamo “falchi o colombe”. Oltre l’asservimento a Putin è chiaro che c’è molto di più nel comportamento dei due leader populisti, che usano l’Ucraina per far fronte comune, ognuno a modo suo, contro Draghi. Il caso del no grillino all’inceneritore di Roma ne è un esempio.

La verità è che Conte e Salvini sono, per convinzione o costrizione, impegnati a rispolverare il populismo ante Draghi che li ha sempre contraddistinti per tentare di fermare quell’emorragia di voti che però pare destinata a non cessare.