Ieri gli abitanti di Khersov, una delle città ucraine occupate dai russi, sono scesi in piazza gridando “Qui è Ucraina!”. Unità dell’esercito ucraino sono passate al contrattacco liberando piccole città occupate e costringendo il nemico a ripiegare verso il confine. Tutto questo mentre Putin continua a bombardare in modo disumano le città ucraine, colpendo dal cielo visto che sul terreno continua a perdere generali e il morale delle truppe di Mosca è ai minimi termini dall’inizio della invasione.
Per la Russia si delineano i contorni di una disfatta che sarebbe peggiore della bruciante sconfitta in Afghanistan. Dopo un mese di assedio a Kiev, a Mariupol e a Odessa, Putin è in stallo, sempre più esposto a livello internazionale e in crisi all’interno degli assetti di potere russi. Questo è un momento decisivo della guerra scoppiata alle porte dell’Europa: gli ucraini non solo resistono ma si sono messi in testa che possono sconfiggere i russi. Eppure America ed Europa tergiversano sulle armi da inviare a Zelensky che chiede aerei e materiale bellico per la controffensiva.
“Ho parlato con i difensori di Mariupol oggi. La loro determinazione, il loro eroismo e la loro fermezza sono sorprendenti”, ha detto Zelensky, aggiungendo: “Se solo coloro che hanno pensato per 31 giorni a come consegnare dozzine di jet e carri armati avessero l’1% del loro coraggio”. La risposta che l’Occidente ha dato a Mosca con i vertici dell’Alleanza Atlantica del G7 e del Consiglio d’Europa mostra certamente che il destino di Putin potrebbe essere segnato.
Ma prima che sul padrone del Cremlino scorrano i titoli di coda bisogna dire chiedersi con Zelensky se l’Occidente voglia davvero chiudere questa partita. Davanti alla prova di coraggio enorme del popolo ucraino è assurdi che per tanti politici e osservatori, il problema sia la “escalation verbale” del presidente americano Biden, invece del sostegno immediato che dovremmo dare all’Ucraina.