Abbiamo raggiunto lo scrittore siciliano Fulvio Abbate, per sentire il suo pensiero sul conflitto che sta insanguinando un pezzo di Europa e per farci spiegare in cosa una certa sinistra sbaglia nel difendere le posizioni del padrone del Cremlino, definito senza mezze misure dallo scrittore, un criminale.
Parlare con Fulvio Abbate è come ritrovarsi in certe sere d’estate seduti sotto ai pergolati che buttano odore di gelsomino e di lontano arriva, come spento, l’eco del mare e uno spruzzo di salsedine. Si sente, insomma, quella sicilianità verace che non concede sconti e che, forse l’età, forse la saggezza, si è arrotondata nonostante il clima e la vita romana, senza rinunciare ai suoi antichi colori e sapori. Lo scrittore, sui temi scottanti che in questi giorni interessano e dividono gli italiani, gli europei ed il mondo intero, non le manda a dire e così alla prima domanda con calma e pacatamente precisa…
Abbate, Lei sta da giorni conducendo una personale e quotidiana battaglia, anche attraverso i social, in difesa del popolo Ucraino, contro tutti coloro che più o meno velatamente appoggiano Putin ed i Russi definendoli senza mezzi termini nazi-comunisti. Pensa, come intellettuale di punta del panorama culturale italiano di essere solo in questa sua scelta di campo o gode dell’appoggio di altri suoi colleghi?
Io sono nato nel ‘56, l’anno dell’invasione dell’Ungheria, quella per intenderci che ipocritamente Togliatti e i compagni del Pci chiamarono “i fatti di Ungheria”. Onore a coloro, intellettuali e non solo, che quel giorno lasciarono il Partito Comunista. La mia posizione sul conflitto non è nota solo sui social, ne parlo su Huffingtonpost Italia e ovunque mi diano modo e spazio. Sono stato comunista, sin dal 1970 quando bazzicavo la sezione comunista palermitana (su quelle vicende ci ho scritto il mio primo romanzo) e poiché allora non ho potuto prendere una posizione per ovvi motivi anagrafici, lo faccio adesso. Quello in Ucraina è un massacro inaccettabile e mi fa specie che una certa sinistra radicale, per giustificare le proprie posizioni, sposti l’accento sul ruolo della Nato. La mia è una posizione morale verso me stesso e verso il pensiero a cui sono pervenuto per dirla alla Camus: una posizione netta a fianco della resistenza totale ed assoluta del popolo ucraino a dispetto di chi li definisce una banda di drogati nazisti. La differenza in fondo sta tutti qui, in questo assunto: mentre per Sartre era possibile trovare una giustificazione alla violenza sovietica in nome di un principio superiore, per Camus la libertà ed i suoi valori sono insindacabili.
Perché a suo avviso in questo momento non c’è posto per chi dissente dalla narrativa che vede così nettamente definiti buoni e cattivi: gli ucraini nel ruolo dei primi ed i russi in quello dei secondi. Forse per opportunismo? Per paura o cosa?
Rendo conto solo ai miei lettori, che mi seguono con molto affetto. Mi va benissimo essere una voce fuori dal coro, o rischiare di esserlo per chi mi vede dall’esterno un isolato, la solitudine non mi fa paura. Il popolo ucraino ha diritto di scegliersi il proprio futuro e la propria libertà e trovo che ci sia una assoluta ed insopportabile quanto irricevibile asimmetria tra chi si difende imbracciando un kalashnikov contro tutto l’arsenale dell’armata di Putin. Ripeto, l’Ucraina è uno stato sovrano aggredito da una politica, quella di Putin nazi-comunista, che si rifà ad un imperialismo che rimanda alla vecchia Unione Sovietica con una aggravante di matrice zarista. Anche Stalin a sua volta aveva una cifra zarista ed assolutista. Basta conoscere un po’ di storia per rendersi conto che i mali di questo regime, che sta aggredendo l’Europa, vengono da lontano e cioè dal 1917, dalla rivoluzione di ottobre e dal leninismo che già aveva cancellato, soffocandola, ogni speranza democratica. Tranne la parentesi repubblicana del Primo Ministro socialista Kerenskij, la Russia non ha mai assaggiato ne goduto di una vera democrazia. In ultima analisi la riflessione che va fatta a posteriori è che avevano ragione i socialisti nel 1921.
Quali sono secondo lei, fuori dalla propaganda e dagli slogan, dalle ideologie e dagli interessi di ciascuno, le vere ed uniche colpe, se colpe vi sono state, dell’Occidente, della Nato, dell’Europa e dei rispettivi leader politici e della loro politica estera e quali quelle di Putin e dei suoi sostenitori?
Va detto innanzitutto che esiste la realpolitik! Poi è chiaro che nessuno vuole salvare o assolvere l’occidente dalle sue responsabilità e dal suo cinismo, ma il dato incontrovertibile è che Putin odia la democrazia e teme che questa possa contagiare la Russia ed il suo popolo, insomma una sorta di virus da debellare. Prova ne è che il suo potere è a tutti gli effetti di tipo autocratico e che tutte le voci di dissenso una dopo l’altra sono state o cancellate o rese innocue. La subcultura di Putin è aggressiva ed imperialistica, come lo era del resto quella dell’Unione Sovietica.
In questi giorni di guerra e di sanzioni, di dibattiti e di schieramenti pro e contro abbiamo, ed era inevitabile, assistito anche al coinvolgimento del mondo della cultura nelle ragioni sul conflitto: corsi su autori russi sospesi e poi ripresi, direttori di orchestra, artisti vari obbligati a prendere posizione, autori russi e case editrici cancellati dalle kermesse letterarie, insomma non crede che la libertà non solo di dissentire ma di essere solo artisti o intellettuali sia in qualche misura messa in discussione e che si corra il pericolo di diventare o di assomigliare al nemico che si vuol combattere? In fondo chi ha voluto prendere posizione contro Putin lo ha fatto, firmando manifesti e facendo sentire la propria voce. Ed in ultima analisi quale dovrebbe essere il ruolo dell’intellettuale italiano rispetto a quanto sta succedendo?
Innanzitutto io ho subito manifestato solidarietà a Paolo Nori (lo scrittore, traduttore e blogger italiano protagonista della vicenda sulla sospensione alla Bicocca del corso su Dostoevskij, n.d.r.) perché Dostoevskij il grande autore russo su cui Nori avrebbe dovuto parlare, non è mai stato né leninista né nel libro paga di Putin. Inoltre, ho trovato irricevibile la cancellazione del suo corso all’Università Bicocca. Detto questo in merito al direttore d’orchestra russo Vaery Gergiev lo reputo solo un propagandista di Putin. Poi, dico anche, che di fronte all’uso armi bisogna fare intorno ai russi terra bruciata, sia con le sanzioni che devono essere durissime, sia negando a questi signori e signore il diritto di cittadinanza, atto che reputo non solo necessario quanto doveroso. Facciano come fece Rudolf Nurejev chiedano asilo politico abbiano il suo stesso coraggio. Di cosa si lamentano costoro: rispetto a chi sta morendo falciato dai cannoni dell’armata rossa? Costretto a lasciare le proprie case con in mano solo un piccolo trolley? Tutta questa abiura che gli si chiede, rispetto a quanto appena detto, è ben poca cosa!
Lei ha dichiarato di vergognarsi di essere stato comunista e che il comportamento di chi manifesta solidarietà al leader russo è osceno ed infame: in cosa di quel comunismo lei non si riconosce più. Secondo lei cosa avrebbe detto Pasolini del conflitto in atto?
Ho dichiarato di vergognarmi di essere stato comunista perché sono arrivato alla convinzione che avrei dovuto essere socialista fin dal primo giorno ed ho scambiato, come tanti altri, il partito comunista come un luogo dove si potesse esprimere un sentimento di rivolta rispetto all’esistente: che poi è un concetto libertario anarchico più che comunista. Mi trovavo nel luogo sbagliato, assolutamente. Poi certo, aldilà della diversità del partito comunista italiano rispetto ad altri partiti che hanno mantenuto una impronta di tipo leninista, non amo dire stalinista perché se diciamo stalinista salviamo Lenin, che è stato l’iniziatore di quel sistema, anche nella sua forma concentrazionaria, va detto che quello russo si connotò da subito per la sua ferocia. Non è un caso che Rosa Luxemburg, già nel 1918 lamenta questa involuzione di tipo repressivo in Russia soprattutto verso i socialisti rivoluzionari. Circa Pasolini, non possiamo dire nulla solo per il fatto, non da poco, che lui è assente. Inoltre se lo avessimo qui presente, vivo e vegeto, per prima cosa dovremmo spiegargli praticamente tutto: dai cellulari ai social. Certamente quello che ci rimane del poeta è il tempo di Pier Paolo Pasolini che è un tempo che oggi è irriferibile.
Lasciamo Fulvio Abbate ai suoi scritti ed ai suoi studi ed alle sue invettive contro la guerra, mentre si affretta a confessare, forse in anteprima che a maggio uscirà un pamphlet scritto quattro mani con Bobo Craxi sulla famigerata vicenda politica umana e giudiziaria del famoso padre morto esule e col quale si diverte un mondo poiché, sono sue parole “ io e Bobo siamo come Stanlio e Ollio!”.