È proprio sua la più bella canzone anticomunista scritta da un cantautore italiano, quella “Primavera di Praga” pubblicata nel lontano 1970 all’interno dell’album dal titolo evocativo: “Due anni dopo”.
Francesco Guccini è sempre stato questo anche se da sempre è passato per “comunista” nella tragicomica semplificazione italiana del pensiero politico. Vale la pena rileggere almeno una strofa di quella canzone che urlava al mondo il sacrificio di Jan Palach, il ragazzo che decise il sacrificio estremo per protesta contro l’invasione sovietica.
Cantava Guccini: “Son come falchi quei carri appostati / Corron parole sui visi arrossati / Corre il dolore bruciando ogni strada / E lancia grida ogni muro di Praga. / Quando la piazza fermò la sua vita. / Sudava sangue la folla ferita, / Quando la fiamma col suo fumo nero / Lasciò la terra e si alzò verso il cielo, / Quando ciascuno ebbe tinta la mano, / Quando quel fumo si sparse lontano, / Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava / All’orizzonte del cielo di Praga…”
Oggi Guccini torna a parlare e a mettere i puntini sulle i in un’intervista alla Stampa. Che impressione le fa la guerra in Ucraina? “Fa impressione sentire parlare di guerra in casa, in Europa. Putin è un autocrate che fa la voce grossa, risveglia il mio vecchio pregiudizio anti-sovietico”. E ancora: “Non sono mai stato comunista. Ero piuttosto un anarchico, in senso romantico. Guardavo al Partito d’Azione, a Giustizia e libertà”.
“Jan Palach – spiegava anni Guccini in un’altra intervista a Charta – è un simbolo oltre le appartenenze politiche, senza strumentalizzazioni o sovrastrutture. Rappresenta un gesto di libertà, un grido contro tutte le tirannie, il desiderio libertario che è sempre esistito nell’uomo e che io ho sempre avvertito molto forte in me. Un ideale che qualcuno ha difeso fino all’estremo sacrifico, che non ha colori o etichette”.
Come oggi il popolo ucraino. Dopo più di cinquanta anni.