Fine processo mai: quando la condanna è vivere nei tribunali

“Ad ogni azione corrisponderà sempre una reazione”. Ad ogni forma, ad ogni volizione, ad ogni atto sostanziante, espressione dell’esercizio di un potere, pubblico o privato che esso sia, corrisponderà, sempre, una conseguenza; corrisponderà, sempre, una modificazione della realtà sensibile o di una determinata condizione giuridica soggettiva. Esercitarlo in carenza dei presupposti di legge e, quindi, in una dimensione di carenza (o di abuso, di eccesso) di potere, sarà, sempre, uno dei crimini più indegni che si possano commettere, e sia da parte di chi dovrebbe “incarnare” la volontà dello Stato, sia da parte di chi, contro quello stesso Stato, si ponga – o ipotizzi di farlo – in termini antinomici ed illegalmente concorrenziali…

L’uso distorto della carcerazione preventiva, per esempio – e sin dalla notte dei tempi, purtroppo – sarà sempre la peggiore delle iatture, quasi quanto la condanna “sommaria”, superficiale, “distratta” o “politicamente” (e/o “socialmente) orientata” di un innocente…

Dal prossimo gennaio, allorquando, cioè – non intervenendo nessun atto normativo modificativo ovvero interruttivo – si arriverà, nella “terra delle Dodici Tavole”, della Codificazione Giustinianea, “dei Delitti e delle pene”, a veder consumata, dopo l’epilogo del primo grado di giudizio (penale), l’inefficacia di qualsivoglia termine prescrizionale, il sistema diventerà ancora più disarmante.

Come sia stato possibile arrivare a concepire una cosa del genere, come sia stato possibile, per M5S e Lega, anche solo ipotizzarla una tale assurdità, non è dato, né saperlo, né capirlo…

L’esigenza di uno Stato efficace ed efficiente, anche dal punto di vista dall’amministrazione della giustizia, postula l’esistenza di regole certe, da un lato, e di un apparato effettivamente degno dei compiti “suoi propri”, dall’altro: ipotizzare l’assoluto ed incondizionato potere dello Stato di poter “perseguire” un presunto innocente (perché, anche dopo un’eventuale condanna di primo grado, sempre di quello si tratterebbe, e si tratta!) quando gli verrà più comodo farlo, e senza che a quella pretesa sia posto alcun argine temporale, dovrebbe far rabbrividire chiunque, anche il più ottuso, anche il più sciacallo, anche il più indegno degli esseri umani, e invece…

Se il decorso del tempo consolida, ed in certi casi addirittura produce “l’insorgenza”, la “nascita” di diritti soggettivi (come l’acquisto, a titolo originario, del diritto di proprietà per usucapione, per esempio), a quello stesso “scorrere ininterrotto del giorno e della notte” per un determinato lasso temporale ritualmente “convento”, dovrà continuare a ricollegarsi, necessariamente, la decadenza di tutti i diritti e facoltà, soprattutto processuali, temporalmente (e doverosamente) condizionati.

In uno Stato di diritto nessuno può essere legibus solutus, nemmeno lo Stato, ed ancor di più allorché si tratti di determinare la colpevolezza o meno di una persona.