Ciò che rende più pesante la
sconfitta in Emilia Romagna di Salvini prima e della Borgonzoni poi – la candidata
presidente ha preso meno voti della coalizione – è il significato strategico
che lo stesso leader della Lega aveva attribuito al voto per le elezioni
regionali, caricandolo di un valore referendario sia per ciò che concerne il
governo Conte, sia per il modus operandi della Lega stessa. Inutile girarci
intorno: andarci vicino conta solo a bocce, e la destra di Salvini in Emilia
neanche ci è andata vicino al risultato del riconfermato Bonaccini. Ha perso.
Ha perso anche in quella Bibbiano trasformata volgarmente in terreno di scontro
elettorale. La verità è che la gente sceglie. Gli individui scelgono. E in
Emilia Romagna tantissime persone di destra hanno scelto di non far vincere
l’estremismo estetico, culturale, ideologico. Come da suo miglior copione,
Salvini ha talmente estremizzato lo scontro da spingere anche gli indecisi e
gli astensionisti abituali a schierarsi in Emilia contro di lui e contro la politica
del citofono. E meglio non gli è andata in Calabria, dove la nuova governatrice
Jole Santelli – lei sì che è stata una candidata azzeccata – è una forzista
della prima ora, fedelissima azzurra di Berlusconi. Non stupisce, pertanto, che
la Lega abbia ottenuto meno voti di FI in Calabria. Stupisce invece che il
leader della Lega abbia di fatto snobbato la competizione al sud per dedicarsi
unicamente alla battaglia emiliana, condotta a colpi di bibbianate e di
citofono. Che alla fine gli sono servite però solo a rimediare la prima vera
battuta d’arresto, pesantissima, degli ultimi due anni.
Il voto per le regionali in
Emilia è un segnale che deve spingerci a ragionare sull’archiviazione dell’epoca
del bipolarismo populista, costringendoci ad aprire la riflessione sull’identità
e la strategia di una destra non estremista e non sovranista. Citando una
condivisibile analisi di Alessandro Barbano di oggi sul Foglio, “il riscatto
della democrazia chiama alla responsabilità una leadership autorevole,
coadiuvata dal un quadro dirigente plurale”. Questa leadership non può che venire
da destra, da una buona destra: bisogna costruire la casa di questa destra che
esiste ma non è rappresentata, una destra gentile, civile, sana, che non odia,
europea. Perché non esiste solo una destra gutturale e ignobile, esiste una
destra altra e alta. Ed è giunto il momento di darle voce.